Morire per niente a Gaza
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione dal francese di Yehudit Weisz)
https://www.jforum.fr/mourir-pour-rien-a-gaza-par-michele-mazel.html
I fatti, anzitutto. Hamas, sostenuto dall'Iran, vuole la distruzione di Israele, lo dice in arabo, lo ripete in arabo, ricevendo ogni volta l'acclamazione dei suoi militanti, e si sta attivamente preparando a questo scopo spendendo i miliardi di dollari provenienti dagli aiuti internazionali, destinati invece a migliorare le condizioni di vita della popolazione, per la sua industria bellica: tunnel di attacco, missili avanzati e addestramento del suo esercito. L'Egitto, Paese fraterno, ha cautamente chiuso il suo confine e lo apre solo con parsimonia. Nel frattempo, i Gazawi continuano a manifestare ogni venerdì lungo il confine con Israele. Settimana dopo settimana. Presto sarà già un anno da quando i leader di Hamas hanno mobilitato i loro militanti e li mandano all’assalto di questo confine, portando con sé, per sicurezza, donne, adolescenti e, a volte, bambini molto piccoli che sono lì per fare da scudi umani. Mentre i primi sono armati di esplosivi e potenti tenaglie per assaltare la barriera di sicurezza che separa la Striscia di Gaza dal territorio israeliano, questi ultimi dispongono solo di fionde. In questa stagione di piogge, gli aquiloni e gli altri palloncini incendiari che l’estate scorsa avevano devastato campi, raccolti e riserve naturali, non funzionano più. Restano i grappoli di palloncini carichi di esplosivi. Fino ad ora, non hanno fatto alcun danno. Dal marzo del 2018 a oggi Hamas ha riportato 241 morti. Per non parlare delle "migliaia di feriti". Per la cronaca, queste manifestazioni all’inizio erano nate per protestare contro il trasferimento dell'ambasciata USA a Gerusalemme. In seguito si son trasformate nella “grande marcia del ritorno". Si trattava di portare centinaia di migliaia di Gazawi all'interno di Israele. Ora non si sente più parlare di questa grande marcia; per Le Monde dell'11 gennaio, " La protesta mira a denunciare il blocco e a reclamare il diritto al ritorno dei palestinesi cacciati dalle loro terre e fuggiti nel 1948, quando fu creato lo Stato di Israele. " Non possiamo non notare che tra le migliaia, e talvolta le decine di migliaia, di manifestanti che partecipano a gran voce a queste proteste settimanali, i palestinesi del 1948 brillano per la loro assenza. Che è fondamentalmente logico. Un bambino nato in quell’anno ha oggi poco più di 70 anni e i suoi genitori sono morti già da tempo. Per quanto riguarda il blocco, è piuttosto relativo, dal momento che ogni giorno centinaia di camion provenienti da Israele transitano attraverso il checkpoint di Kerem Shalom, mentre un oleodotto rifornisce Gaza di carburante e benzina. Quindi, perché Hamas non pone fine a questi scontri che, in quasi un anno, non hanno portato alcun cambiamento alla realtà dei fatti? Bisogna fare questa domanda ai leader europei e ai media occidentali. E’ giunto il momento di dirlo: sono i lunghi discorsi dedicati all' "eroismo" di uomini e donne che affrontano un nemico spietato, sono i luoghi comuni creati ad arte, come quella foto del giovane palestinese che, tenendo in una mano una bandiera e nell'altra una fionda, affronta a petto nudo i soldati dell'esercito israeliano, o ancora, i filmati tendenziosi sui bambini fatti camminare come falsi storpi, che alimentano il prosieguo suicida degli attacchi alla barriera di confine, contribuendo alla demonizzazione e alla delegittimazione dello Stato ebraico.
Michelle Mazel