Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 11/01/2019, a pag.20, con il titolo 'Agiremo anche senza il ritiro Usa' il commento di Marta Ottaviani.
Il pezzo di Marta Ottaviani è equilibrato nel descrivere le mire espansionistiche di Erdogan e nel delineare la complessa situazione attuale in Siria.
Ecco l'articolo:
Marta Ottaviani
Erdogan affetta la democrazia in Turchia, l'Europa sta a guardare
Sono molti i ruoli che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha cercato di incarnare dall'inizio della guerra civile in Siria. Il risultato, a quasi otto anni dall'inizio della crisi, è che la Turchia sta cercando con tutti i mezzi di giocare un molo di primo piano negli assetti futuri del Paese, bussando, con insistenza, ora alla porta di Mosca, ora a quella di Washington. Ankara, però, ha giocato le sue carte con troppa ambiguità e spregiudicatezza. Se si osservano le diverse fasi della crisi siriana, la Mezzaluna ha cercato di allearsi con chi poteva aiutarla a colpire i suoi due obiettivi: il presidente Assad, da grande amico di Erdogan a nemico su base puramente ideologica data la sua appartenenza agli alauiti, e i curdi, da sempre la spina nel fianco per eccellenza della Turchia. Per quasi due anni, la Mezzaluna è stata accusata di tenere una condotta ambigua niente meno che con il Daesh. La collaborazione con lo Stato islamico sarebbe finita quando le milizie di al-Baghdadi hanno iniziato ad accanirsi proprio contro Ankara. II condizionale è d'obbligo, perché, dall'inizio del conflitto, la Turchia è una ferma sostenitrice dell'opposizione siriana, che al suo interno include anche elementi di alcuni gruppi terroristici di matrice jihadista. Nonostante questo patto con il diavolo, il primo obiettivo è fallito. Assad al momento gode della protezione di Mosca e Teheran e difficilmente Ankara potrà scalzarlo. Rimangono i curdi, nello specifico lo Ypg, braccio armato dei curdi siriani e collegato al Pkk. Ma, anche qui, la strategia turca si sta rivelando fallimentare. «Nell'ultimo decennio-spiega il commentatore di Al Monitor, Fehmi Tastekin - il governo turco ha perseguito una politica contro i curdi, cercando di spingere i gruppi armati oltre il confine con Siria e Iraq. Adesso, con lo stesso approccio, vuole ripulirei territori a nord della Siria, ma è una strategia inutile». Un piano irrealizzabile, insomma, e che rischia di guastare i rapporti con due capitali da cui Ankara potrebbe ancora ottenere molto. La prima è Washington. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha reso noto ieri che la Turchia interverrà nel nord del Paese anche senza il ritiro americano, che comunque, stando a quello che il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha dichiarato ieri al Cairo, ci sarà dato che «abbiamo annientato il 99% del Califfato». Nuove tensioni fra Washington e la Turchia, che vorrebbe occupare le posizioni Usa al momento del ritiro, sembrano inevitabili. «La decisione degli Usa di rallentare l'uscita dalla Siria - aggiunge il giornalista di Hurriyet, Serkan Demirtas - concederà tempo a Trump per capire con chi vuole lavorare per garantire quelle che sono le priorità americane. Dal punto di vista turco, Ankara vuole sapere chi si intenda quando parlano di curdi. Se si parla solo di civili, non ci saranno problemi. In caso contrario, prepariamoci a cambiamenti drastici da parte della Turchia, che non ha alcuna intenzione di indietreggiare». Non è facile nemmeno la situazione con Mosca. Vladimir Putin non sembra intenzionato a lasciare ad Ankara carta bianca nel nord della Siria. «Le condizioni attuali rafforzano Mosca - spiega ad Avvenire, Hasan Unal, professore di relazioni internazionali alla Atilim University -. Ma Putin deve stare attento a non mettere troppo Ankara all'angolo e ricordare che una collaborazione positiva con la Turchia lo potrà aiutare in altre grandi partite internazionali, come per esempio quella sull'energia che si giocherà nell'est del Mediterraneo».
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