Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/01/2019, a pag. 5, con il titolo "Dalla Tunisia alla Sicilia. La rotta della Jihad verso l’Italia", la cronaca di Riccardo Arena; da LIBERO, a pag. 4, con il titolo "Se l'italia apre le frontiere arrivano kamikaze e criminali", il commento di Andrea Morigi.
Con l'immigrazione dai Paesi islamici verso l'Europa arriva inevitabilmente anche il terrorismo islamista. E' un dato di fatto chiaro a tutti, ma non tutti ancora lo riconoscono in nome del "politicamente corretto".
Ecco gli articoli:
Un gruppo di profughi appena sbarcati sulle coste italiane
LA STAMPA - Riccardo Arena: "Dalla Tunisia alla Sicilia. La rotta della Jihad verso l’Italia"
Riccardo Arena
Una pista porta lontano, fino in Belgio, dove i jihadisti sono particolarmente attivi. Un’altra vede nell’asse Tunisia-Sicilia la nuova, più che preoccupante rotta dei terroristi che entrano in Europa: non attraverso i barconi della disperazione e delle polemiche, non con le navi delle Ong alle quali vengono sbarrati i porti, ma con potenti gommoni con motori da 250 cavalli, capaci di «volare» a 40 nodi, che arrivano nottetempo e portano in gran segreto, nelle spiagge della costa tra Marsala e Mazara del Vallo, migranti danarosi e selezionati. Alcuni dei quali sono attivissimi nella propaganda della sharia, della guerra santa, della legge islamica.
I fermi di otto persone (cinque tunisini, un marocchino e due siciliani) da parte dei carabinieri del Ros, avvenuto ieri tra le province di Palermo e Trapani, le ricerche di altri sette tunisini, sospettati di avere partecipato a questo nuovo business, crea un nuovo allarme terrorismo: i pm Gery Ferrara e Claudia Ferrari, della Direzione distrettuale antimafia, diretta da Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Marzia Sabella, parlano apertamente di «un’attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale». Gli arrivi segreti, di cui già si era più volte parlato ma che raramente erano stati ricostruiti e accertati, divengono adesso concreti con le intercettazioni e il lavoro del Ros, partito dalle confessioni di un pentito, Arbi Ben Said. L’organizzazione era infatti teoricamente dedita ai trasporti comodi e «riservati» e anche al contrabbando di tabacchi, ma Said sapeva anche molto altro. E, lui che era detenuto a Sanremo, aveva deciso di parlare per «evitare che ci si ritrovasse con un esercito di kamikaze in Italia» e soprattutto per non finire a sua volta oggetto di accuse pesantissime.
Cinquemila dinari tunisini, 10 mila per i jihadisti o i pregiudicati, tra 2500 e 5000 euro: tanto costava il passaggio in Sicilia, gestito da un’organizzazione capeggiata da tre tunisini. Due di loro, Ahmed Khedr e Khaled Ounich, sono latitanti, mentre Mongi Ltaief era stato assolto, in dicembre, in un altro processo, e ieri è stato riarrestato. Qualche mese prima, quando gli avevano concesso i domiciliari, Ltaief aveva subito «postato» una foto sul suo profilo Facebook, due mani con le carte da gioco e la scritta in arabo che recitava «rimescola le carte e ricomincia». A fare cosa?
L’immagine era stata condivisa da Ounich, che nel gruppo degli indagati risponde di reati come l’apologia, la propaganda e l’istigazione ad atti di terrorismo: il suo profilo conteneva decine di immagini di combattenti islamici, armi, inviti a combattere Stati Uniti e Israele, la decapitazione del giornalista James Foley. Frasi più o meno deliranti, del tipo «ogni Stato ha il suo turismo e il mio turismo è la jihad in nome di Dio». E per quanto possa apparire stravagante, il gruppo «quelli a cui manca il paradiso», postava pensieri come: «Dio, ho il desiderio di vederti ma ancora ti sto disobbedendo, fammi purificare prima di incontrarti».
Khedr, ritenuto il personaggio più pericoloso, aveva ottimi agganci in Belgio: per attivare una sim telefonica aveva usato una patente di quel Paese, con la sua foto e un nome falso. Numerosi i riferimenti fatti dagli indagati a trasferimenti e appoggi che portano a Namur e ad altre località belghe. E poi, a parte le vignette che ritraggono Hollande che versa petrolio sulla Siria e un jihadista che pugnala la Francia, ci sono passaggi che portano proprio Oltralpe. I viaggi accertati dai militari del Ros e dei comandi provinciali di Palermo e Trapani sono stati effettuati per tutto il 2018, fino a ottobre scorso, e la banda disponeva per questo di somme consistenti, reinvestite in gran parte proprio in Francia, con l’acquisto di immobili o la creazione di depositi bancari. Soldi, tanti soldi, forse troppi.
LIBERO - Andrea Morigi: "Se l'italia apre le frontiere arrivano kamikaze e criminali"
Andrea Morigi
Una linea diretta dello Stato islamico per importare kamikaze in Italia. Un'azienda di trasporti fantasma, messa su da alcuni maghrebini, ma che fino a ieri funzionava alla perfezione e si era rivelata anche parecchio redditizia. Mentre migliaia di disperati si avventuravano sulle carrette del mare, nella speranza di terminare la loro odissea a bordo di un naviglio di una ong prima di affogare nel Mar Mediterraneo, i più furbi avevano già trovato la via più breve e sicura, aiutati dalla distrazione di motovedette libiche, Frontex e guardia costiera italiana, tutti impegnati dal traffico di profughi su altre rotte. Del resto non risultavano altre emergenze, oltre a quella umanitaria. Gli esperti hanno sempre escluso che fra i migranti si nascondesse una minaccia. Quei pochi che si erano azzardati a teorizzarlo erano stati subito bollati come allarmisti irresponsabili. Invece sono sufficienti due ore a bordo di un barchino veloce per arrivare sulle nostre coste dalla Tunisia. Ma non tutti i clandestini si possono permettere il biglietto da 2.500 euro. E poi mica si va in agenzia o sul web per prenotare il viaggio, i posti scarseggiano perché c'è anche chi paga un "supplemento Isis", bisogna trovare gli scafisti e, soprattutto, sapere dove andare e cosa fare una volta sbarcati.
TRAFFICO E PROPAGANDA Insomma ci vuole una rete di delinquenti come quella smantellata ieri dal Ros dei carabinieri fra la Sicilia e la Lombardia per organizzare un trasferimento sicuro. Fra i quindici indagati dalla Procura di Palermo c'erano guarda caso anche alcuni terroristi islamici, che trafficavano in sigarette di contrabbando e si finanziavano in tante altre maniere illegali. Nel tempo libero, postavano qua e là i messaggi dell'Isis, con tanto di decapitazioni di infedeli, filmate per motivare le truppe disperse dell'esercito dei fondamentalisti e reclutare potenziali attentatori suicidi in giro per il mondo. Finora, avevano agito indisturbati, salvo poi essere traditi nel 2006 da un pentito tunisino nel carcere di Marassi, a Genova e ora trasferito in Francia. Era uno di loro, ma voleva evitare che ci si ritrovasse con «un esercito di kamikaze in Italia». Magari gli avranno anche promesso uno sconto di pena o qualche beneficio particolare per la collaborazione con gli inquirenti. A volte anche la prospettiva di evitare il rimpatrio ha il suo effetto benefico sui detenuti stranieri. Stadi fatto che, dietro le sbarre, egli aveva sviluppato una sensibilità verso l'ordine pubblico sconosciuta perfino a molti sindaci della Penisola. Così, alla fine ha cantato, svelando l'esistenza del servizio di taxi utilizzato prevalentemente da gente ricercata per terrorismo in Tunisia e che, invece di unirsi allo Stato islamico, aveva scelto di stabilirsi sul territorio italiano. E, una volta qui, senza chiedere asilo o protezione, gli indesiderati ospiti tornavano a invocare il martirio in nome di Allah.
I CAPI IN FUGA Se intendessero colpire obiettivi particolari ed eventualmente quali, non è stato ancora chiarito. Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che hanno firmato i provvedimenti di fermo, comunque si tratta di « attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale». Nel gruppo Facebook «Quelli che vogliono andare in paradiso», pregavano così: «Allah, ho il desiderio di vederti ma ancora ti sto disobbedendo, fammi purificare prima di incontrarti. Dio aiuta ogni persona affinché diffonda queste parole». Per i pm che hanno disposto il loro fermo (in attesa di convalida del gip) fra le province di Palermo, Trapani, Caltanissetta e Brescia, sono «mujaheddin virtuali» e rappresentano «un formidabile strumento di radicalizzazione delle masse e propaganda dei dettami del terrore di matrice islamica». In una realtà più concreta, due di loro, il 32enne Ahmed Khedr e il 31enne Khaled Ounich, tunisini, per il momento sono riusciti a sfuggire alla cattura. Sono considerati i capi dell'organizzazione, i più vicini agli ambienti jihadisti e perciò anche i più pericolosi. Sono loro a disporre della cassa comune e dei conti correnti bancari del gruppo. Per nascondere i quattrini, acquistavano immobili e gestivano depositi di denaro intestandoli a qualche testa di legno in Tunisia. Di soldi ne hanno tanti, quindi. Seguendone le tracce, si potrebbe procedere oltre nella pista investigativa, visto che il Battaglione anti-terrorismo tunisino sta analizzando a fondo alcune operazioni finanziarie sospette svolte da uno degli arrestati.
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