Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/01/2019, a pag. 17, con il titolo "Sgomberato in Cisgiordania l'insediamento non autorizzato" il commento di Giordano Stabile.
In Israele il diritto viene fatto rispettare, a prescindere dall'appartenenza etnica, linguistica e religiosa delle persone coinvolte. Non c'è nulla di strano in questo, visto che Israele è una democrazia piena in cui tutti i cittadini hanno pari diritti di fronte alla legge. La pressione internazionale interviene per sollecitare gli sgomberi degli insediamenti illegali, però, esclusivamente quando sono edificati da ebrei. Quando invece - e capita molto frequentemente - gli insediamenti illegali sono costruiti da arabi palestinesi o beduini, il silenzio è assoluto: un doppio standard evidente che denota il pregiudizio della UE e di numerosi governi e Ong.
Ecco l'articolo:
Giordano Stabile
Le forze di sicurezza israeliane hanno di nuovo sgomberato l’insediamento non autorizzato di Amona, ma la battaglia legale che va avanti da decenni rischia di intralciare la marcia di Benjamin Netanyahu verso la vittoria nel voto anticipato del 9 aprile. Sotto i governi di centrodestra gli insediamenti in Cisgiordania hanno continuato a espandersi, ma su un punto il premier non ha mai ceduto alla destra religiosa, e cioè difendere quelli giudicati illegittimi dai tribunali. E’ il caso di Amona, un villaggio fondato nel 1995 vicino alla cittadina palestinese di Silwad, che nel 2017 contava 200 abitanti. Già nel 2006 la Corte suprema lo aveva giudicato illegale perché costruito su terre in precedenza coltivate da contadini locali. Una sentenza del 2014 aveva poi ordinato la sua “completa demolizione”. L’ordine è stato eseguito nel febbraio del 2017, in giornate di scontri con decine feriti fra poliziotti e gli abitanti che si rifiutavano di lasciare le loro case.
Amona
L’appoggio dei partiti religiosi
La questione sembrava chiusa ma la scena si è ripetuta ieri all’alba, quando un centinaio di poliziotti di frontiera si sono presentati di nuovo davanti all’insediamento. Nell’anno e mezzo passato dalla sgombero alcuni degli abitanti, una decina, hanno infatti montato due abitazioni prefabbricate e sono tornati a vivere lì. Una sfida anche alle forze armate, che hanno il controllo della sicurezza nell’area. E’ stata di nuovo battaglia. Gli agenti sono stati accolti da un fitto lancio di pietre e rotoli di filo spinato e hanno dovuto spostare a forza gli abitanti, asserragliati nelle case e dietro barricate di pneumatici in fiamme, e trascinarli via di peso. Ventitré guardie sono rimaste ferite, sette persone sono state arrestate. L’esercito ha parlato di «intensa violenza» ma gli irriducibili sembrano intenzionati a resistere, anche perché hanno l’appoggio dei partiti religiosi, che puntano a fare il pieno di consensi fra gli insediamenti in Cisgiordania. La battaglia politica è condotta soprattutto da Habayait Hayehudi, cioè la Casa Ebraica guidata da Naftali Bennett, in rotta con Netanyahu. Il deputato Bezalel Smotrich ha accusato il premier di «presentarsi come un leader di destra» ma di comportarsi in maniera opposta. L’Unione nazionale ha sottolineato come il primo ministro «sia lesto a premere il grilletto quando si tratta di demolire case in Giudea e Samaria» ma non altrettanto quando si tratta di “Khan al-Ahmar”, il villaggio beduino giudicato illegale ma mai demolito, anche per le pressioni internazionali.
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