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Giordano Stabile
Le riforme di Mohammed bin Salman cominciano ad avere i primi effetti, soprattutto nelle relazioni sociali, ma la condizione delle donne in Arabia Saudita resta difficile, con contraddizioni stridenti. Le saudite ora possono guidare, praticare sport, assistere a concerti ed eventi. Molte attiviste, però, restano in carcere per essersi battute a favore di questi diritti.
Mohammed bin Salman
Le riforme volute da Mbs si scontrano con due cardini dell’islam wahhabita. Sono il «wali», il guardiano di famiglia, e il concetto di «khalwa», la promiscuità illecita fra uomini e donne: anche per questo allo stadio le donne hanno settori riservati. Il principe e Re Salman non possono abolirli in blocco, vista l’opposizione degli ulema, i religiosi che vegliano sull’ortodossia del Regno. Li hanno però indeboliti con una serie di decreti. I più importanti sono quello del settembre 2017, che ha autorizzato le donne a guidare, e dell’aprile del 2017, che ha abolito l’obbligo del consenso da parte del «guardiano» nelle decisioni che riguardano la vita della donna, a meno che non ci sia una «norma di legge esplicita» a imporlo.
L’interpretazione dei decreti è stata ampia, come confermano fonti diplomatiche occidentali: «Oggi le saudite escono da sole, vanno al cinema, possono arruolarsi nell’esercito, sono state nominate a posti importanti nel governo. E hanno di fatto la possibilità di ottenere un passaporto e viaggiare all’estero senza il consenso del guardiano», prima impensabile. «Alla gara di Formula E di metà dicembre si è vista una partecipazione femminile massiccia – continua la fonte -. Questi eventi incoraggiano le aperture e in questo senso anche la partita di Gedda è un fatto positivo, come in fondo i Mondiali in Russia».
La strada è però ancora lunga. Nell’indice 2017 delle pari opportunità del World economic forum l’Arabia Saudita è 138esima su 144 Paesi considerati. Human Rights Watch denuncia forti discriminazioni sul lavoro, perché il consenso del guardiano è decisivo per ottenere posti retribuiti, e nell’educazione, dove vige ancora la separazioni fra sessi, anche all’Università. Mentre Amnesty International sottolinea come siano in carcere molte attiviste, a partire dalla 29enne Loujain al-Hathloul, protagoniste delle battaglie per il diritto alla guida e contro l’obbligo del «guardiano».
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