Jacob H. Schiff e l’ebraismo tedesco-americano durante l’Età Progressista
Commento di Giuliana Iurlano
Jacob H. Schiff
Tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo successivo, l’élite ebraico-americana di origine tedesca, perfettamente integrata nella società del suo tempo, sviluppò una forte attitudine alla beneficenza e al miglioramento delle condizioni di vita degli ostjuden, gli ebrei russi che si riversavano nel Nuovo Mondo a seguito delle persecuzioni subìte nel proprio paese d’origine. Jacob H. Schiff (1847-1920), noto banchiere della Kuhn & Loeb, come molti altri suoi correligionari era giunto in America all’età di 18 anni con la seconda ondata migratoria tedesca, lasciandosi alle spalle lo Judengasse di Francoforte sul Meno, dov’era nato da Moses Schiff e Clara Niederhofheim, per approdare a Wall Street. Sotto la guida di Schiff, la Kuhn & Loeb seguì lo sviluppo vertiginoso di una nazione sempre più industrializzata, intervenendo soprattutto nel finanziamento delle infrastrutture ferroviarie della Union Pacific, grazie a capitali europei, ma occupandosi anche di importanti investimenti in Giappone e in Cina e sostenendo economicamente i nipponici durante la guerra contro la Russia. Sul piano politico, Schiff sostenne il Partito Repubblicano, dapprima con McKinley (che, a suo parere, avrebbe garantito un ordine economico stabile e razionale, in grado di dare fiducia agli investitori) e poi in tutte le elezioni presidenziali successive, fino al 1912, quando ritenne di non sostenere il candidato progressista Theodore Roosevelt. In seguito, però, appoggiò Wilson soprattutto per la sua decisione di abrogare il trattato commerciale russo-statunitense del 1832; lo stesso presidente si rivolse a Schiff per la creazione di un nuovo sistema bancario, previsto nell’agenda della New Freedom. Il banchiere ebreo-americano era profondamente convinto che i businessmen avessero bisogno di una guida per condurre eticamente i propri affari, guida che poteva provenire o dalla Corte Suprema o dallo Sherman Antitrust Act: in un periodo particolarmente caldo, punteggiato da continui scioperi nelle fabbriche, da voci di cospirazioni internazionali, dai veementi articoli di denuncia sociale dei muckrackers contro t trust finanziari, Schiff – pur non condividendo le tensioni sociali e le strategie operaie per migliorare le condizioni di lavoro – sostenne spesso le famiglie degli scioperanti e si attivò in ogni modo perché le cose cambiassero in meglio per i lavoratori. Ma è soprattutto nei confronti degli ebrei russi che la sua azione fu molto incisiva. Da ebreo riformato praticante, che pure era in ottime relazioni con i cristiani, prese molto a cuore la situazione dei new comers; la sua attività si sviluppò in due direzioni: quella internazionale, con le pressioni sul governo americano affinché mettesse sulla sua agenda la “questione ebraica” nei confronti della Russia zarista e del Regno di Romania, inaugurando in tal modo quella che poi sarebbe stata definita come “diplomazia umanitaria”; e quella interna, volta a migliorare le condizioni di vita della grande massa di ebrei russi, a farli integrare nella società americana e, soprattutto, ad evitare quelle gravi situazioni igienico-sanitarie che caratterizzavano la vita degli immigrati ebrei est-europei. La filantropia di Schiff si connotò sin dal primo momento come strumento per difendere l’ebraismo americano e come strettamente collegata alla visione progressista della società americana del tempo. Dal primo punto di vista, Schiff era un sostenitore del non settarismo nelle istituzioni in cui era presente, come la Montefiore Home o l’Henry Street Settlement e, dunque, era ben consapevole che la beneficenza ebraica nei confronti di tutte le altre fedi religiose avrebbe accresciuto la considerazione nei confronti delle virtù civiche dei propri correligionari; essa, inoltre, gli avrebbe consentito di intraprendere nuove strade e di costruire ponti tra ebrei e cristiani, favorendo la rispettabilità che gli ebrei si erano guadagnata nel tempo nella società americana; infine, la sua azione in favore dei più deboli avrebbe potuto contribuire a sferrare un attacco decisivo alla discriminazione anti-ebraica all’interno delle istituzioni non ebraiche da lui sostenute finanziariamente. Dal secondo punto di vista, la sua attività filantropica si sposò perfettamente con la filosofia progressista, nel senso che egli la intese sempre come una sorta di “disciplina scientifica”, uno strumento di controllo sociale e di integrazione dei nuovi arrivati. In questo senso, stimolò la ricerca scientifica sia medica (come alla Montefiore Home and Hospital for Chronic Diseases), sia archeologica (come negli scavi nel Vicino e Lontano Oriente). Nel 1900, all’inaugurazione di un nuovo edificio per la Young Men’s Hebrew Association (YMHA), disse: “Il valore principale della ricchezza consiste nelle opportunità che crea di rendere gli altri contenti, nello spendere liberamente [il denaro] in uno sforzo da parte del suo possessore di pareggiare le differenze accidentali nella vita umana”. Schiff, insomma, ha rappresentato la quintessenza della leadership ebraico-americana, in grado di incidere profondamente sulla società americana e sulla scena internazionale a favore degli ebrei discriminati e perseguitati in ogni parte del mondo.
Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta