Gli ebrei del mondo arabo. L’argomento proibito
Georges Bensoussan
Traduzione di Vanna Lucattini Vogelmann
Giuntina euro 15,00
Storici prestigiosi come Bernard Lewis, romanzieri di talento come Naim Kattan, Sami Michael, Eli Amir hanno indagato nelle loro opere le relazioni conflittuali insite nel rapporto fra mondo arabo ed ebraico mettendo in luce, con analisi storiche e sociali rigorose, le ragioni che hanno determinato la fuga degli ebrei dai paesi arabi, in particolare dopo la nascita dello Stato di Israele e la Guerra dei Sei Giorni. Alcuni studiosi tuttavia hanno raccontato anche di periodi di coesistenza pacifica e armoniosa fra ebrei, musulmani e cristiani in terra araba. Ma è veramente esistito un tale periodo storico? Lo storico francese ebreo Georges Bensoussan nato in Marocco nel 1952 e autore di un’opera importante sul Sionismo (Einaudi) e, fra gli altri, del saggio “Juifs en pays arabes. Le grand déracinement (1850-1975)” Tallandier, pubblica con la casa editrice Giuntina un saggio di indubbio valore in cui ribadisce la sua posizione di rifiuto di un’epoca d’oro – che in Francia gli ha attirato accuse di islamofobia – indagando, sulla base di dati e documenti, la situazione di oppressione e prevaricazione cui sono stati oggetto gli ebrei nei paesi arabi ben prima che esplodesse il conflitto fra Israele e palestinesi. E che portò a un esodo di circa 900.000 ebrei in appena una generazione ponendo fine a una civiltà bimillenaria, anteriore all’Islam e all’arrivo dei conquistatori. Perché – argomenta Bensoussan – “Più del sionismo e della nascita dello Stato d’Israele, sono stati l’emancipazione degli ebrei attraverso l’istruzione scolastica e l’incontro con l’Occidente dei Lumi a provocarne la scomparsa in quei paesi, quindi il loro riscatto, un evento inconcepibile per l’immaginario di un mondo in cui la sottomissione dell’ebreo aveva finito per costituire una pietra angolare”. Terra di dhimma per gli ebrei e i cristiani il mondo arabo ha sottoposto a umiliazioni, vessazioni e al pagamento di tasse supplementari (l’imposta individuale e quella fondiaria) gli ebrei che per essere tollerati erano costretti a subire angherie e violenze quotidiane come ben ricorda Bensoussan dando voce al frate francescano Francesco Suriano che all’inizio del XVI secolo descriveva così la vita quotidiana degli ebrei di Palestina: “ Questi cani, gli ebrei, sono calpestati, picchiati e tormentati come meritano. Vivono in questo paese in una condizione di sottomissione che le parole non possono descrivere…” Dunque le società ebraiche d’Oriente non sono scomparse con il conflitto arabo-israeliano e l’antigiudaismo presente nel mondo arabo non si può ascrivere al conflitto con i palestinesi; della situazione di degrado e umiliazione in cui erano costretti a vivere gli ebrei, oltre che dell’acceso sentimento antiebraico ne danno ampia testimonianza fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento giornalisti, viaggiatori (Joseph Halévi nel 1876) e medici (Francoise Legey nel 1910). E’ agghiacciante leggere come “all’inizio del XIX secolo, con lo pseudonimo di Ali Bey Al Abassi, un viaggiatore spagnolo in Marocco descriveva gli ebrei schiacciati dal despotismo musulmano, la loro postura umile, il corpo interamente curvato in avanti”. A questo si aggiunge una “orribile ineguaglianza di diritti” per cui un giovane musulmano può insultare e picchiare un ebreo senza che questi abbia il diritto di difendersi. Venti anni più tardi, tra il 1824 e il 1828, il francese René Caillé, autore del libro “Voyage à Tombouctou” ricorda come in tutto il paese di El Drah e di Tafilet gli ebrei che abitano nel medesimo villaggio dei musulmani “sono molto disgraziati, vanno quasi nudi e sono continuamente insultati dai Mori: quei fanatici arrivano fino a picchiarli ignobilmente, lanciano loro i sassi come ai cani”.
Benchè all’inizio del XX secolo la Tunisia, con l’Egitto e il Libano siano stati considerati come Paesi di coesistenza pacifica, la realtà ben presto mette in luce il lato illusorio di quella coesistenza felice. Lo storico francese ricorda come sino ad oggi un silenzio imbarazzato circonda la storia delle violenze antiebraiche perpetrate dagli arabi del Maghreb coloniale e di come ad esse non sia estranea l’estrema destra francese ben insediata in Africa del Nord. Premesso che l’antigiudaismo arabo fu esacerbato dall’antisemitismo dei colonialisti francesi è molto prima del loro arrivo che il Maghreb e il Marocco sono terra di violento antigiudaismo, come riporta la mole impressionante di documenti tradotti dall’arabo e dall’ebraico pubblicati nel 2010 da David Littmann e Paula Fenton. Anche se non ci sono state praticamente espulsioni di ebrei dal mondo arabo, fatta eccezione per l’Egitto, si è comunque assistito ad una esclusione strisciante persino in Tunisia ritenuta più tollerante che ha portato gli ebrei a lasciare i posti chiave che occupavano. E nonostante la Costituzione del 1956 assicurasse che gli ebrei erano cittadini tunisini come tutti gli altri e potevano esercitare qualsiasi professione, più degli altri dovevano attendere le necessarie autorizzazioni amministrative ed elargire più bustarelle agli intermediari. Con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 la situazione per gli ebrei diventa insostenibile. Tunisi è teatro di violente sommosse. “Il Centro di informazioni americano e l’ambasciata britannica furono i primi ad essere attaccati. Poi fu il turno degli ebrei e della sinagoga. Nessuno prese l’iniziativa di far cessare la sommossa che oggi sappiamo essere stata concertata e che ebbe l’assenso di una polizia pronta a chiudere gli occhi”. Se in Egitto nel 1927 fu interdetto agli ebrei l’accesso agli impieghi pubblici la situazione di violenza antiebraica in Siria dopo il 1945 fu tale da spingere la maggioranza dei 15.000 ebrei del paese a partire terrorizzata dalla paura di un ripetersi delle sommosse antiebraiche del 1947, oltre che dalla paura di attentati con lancio di bombe come quello che aveva colpito la scuola dell’Alliance a Damasco nel 1948. Eppure la memoria di questi eventi è scomparsa come pure quella delle violenze che imperversarono in Yemen nel 1945 e dell’esclusione etnica cui furono vittime gli ebrei della Libia rimasti nel paese dopo il grande esodo del 1952. Tutti questi avvenimenti si svolsero sullo sfondo di un antisemitismo esacerbato dalla sconfitta araba del 1967, che però non ne fu all’origine. Bensoussan ricorda che nel 1950 Sayyid Qutb, successore di Hassan el-Banna a capo dei Fratelli musulmani, pubblicò “La nostra battaglia contro gli ebrei”, un testo pervaso da un violento antisemitismo che ancora oggi costituisce il breviario dell’antisemitismo islamista. Perché, possiamo chiederci, questi avvenimenti vengono analizzati e studiati solo ora? Lo storico francese non nasconde che gli ebrei d’Oriente siano anch’essi in parte responsabili delle difficoltà incontrate dalla scrittura della loro Storia. Capita di frequente che gli ebrei originari del Mghreb contribuiscano essi stessi alla negazione della parte di violenza del loro passato e tra i fattori che avrebbero favorito quei racconti mitici, Albert Memmi, ebreo tunisino, individua “ la nostra complicità, ebrei dei paesi arabi, la nostra compiacenza più o meno inconscia di sradicati che hanno la tendenza ad abbellire il passato che, nel loro rimpianto dell’Oriente natio, minimizza o cancella completamente il ricordo delle persecuzioni”. Un atteggiamento di nostalgia consolatoria per gli ebrei che, dinanzi all’imperversare dell’antisemitismo in Europa che portò allo sterminio di milioni di correligionari, potevano rifugiarsi con la mente in un luogo in apparenza sereno. Nella seconda parte del saggio, di grande interesse storico sono fra gli altri i capitoli dedicati al mondo arabo e alla persecuzione degli ebrei sotto la Germania nazista e la Francia di Vichy e quelli che analizzano la Storia della Shoah nel mondo arabo-musulmano. Leggere il saggio di Georges Bensoussan, scritto in modo divulgativo e denso di preziose informazioni storiche, è un passo avanti nella conoscenza degli ebrei del mondo arabo nella consapevolezza che “la scrittura della storia porta libertà quando fa capire una verità disincantata ai dominati, i quali spesso sono i primi divulgatori di leggende rassicuranti” e, aggiungiamo, consente una visione storica scevra da quei pregiudizi che sono alla base dell’antisemitismo che pervade ampi strati della società contemporanea.
Termino questa riflessione sul saggio di Georges Bensoussan consigliando ai lettori un testo prezioso “The Forgotten Millions”, The Modern jewish exodus fram Arab Lands (Continuum London and New York) edited by Malka Hillel Shulewitz che vede fra gli altri i contributi di Bat Ye’or, Ya’akov Meron, Yehuda Dominitz e Mordechai Nisan.
Giorgia Greco