Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/01/2019, a pag.12 con il, titolo "Bolsonaro prende la guida del Brasile: 'Cambieremo il destino del Paese' " la cronaca di Emiliano Guanella.
Emiliano Guanella
Benjamin Netanyahu con Jair Bolsonaro
Prima la messa nella cattedrale di Brasilia, poi la sfilata con la moglie Michelle a bordo di una Rolls Royce scoperta fino al Parlamento. Lì il Brasile ha salutato ufficialmente l’inizio dell’era Bolsonaro, l’uomo che da candidato anti-establishment, ha conquistato i galloni di presidente del più popoloso e forte Paese dell’America Latina. Durante un breve discorso di una decina di minuti dopo l’insediamento ufficiale, Bolsonaro, 63 anni, ha ripreso i principali punti che hanno segnato la sua campagna elettorale: valori conservatori, lotta alla corruzione, pugno di ferro contro la criminalità (in Brasile ci sono 63 mila omicidi l’anno) e riforme politiche ed economiche che costituiscano un «patto nazionale» per permettere di «tracciare nuovi sentieri per un nuovo Brasile» e «cambiare il destino del Paese».
Il neo capo dello Stato ha assicurato che il Brasile sarà liberato «da restrizioni ideologiche» e ricostruirà li rispetto «della sua tradizione giudaico-cristiana». Bolsonaro ha dalla sua una base d’appoggio molto eterogenea, che va dai produttori rurali delle campagne ai fedeli delle chiese evangeliche, dai militari, presenti con ben 6 ministri su 22 nel suo governo ai 13 milioni di brasiliani che oggi sono disoccupati. Interessi diversi e non sempre conciliabili che lui dovrà saper accontentare. I rivali sono noti. In primis l’ex presidente Lula da Silva che ieri non ha fatto mancare il suo commento scrivendo dal carcere un appello «alla lotta e alla resistenza».
Bolsonaro ha liquidato anche le polemiche sulla composizione del suo esecutivo, sbilanciata per i detrattori verso esponenti militari o comunque affini a quel mondo. «Ho scelto i ministri in base a considerazioni tecniche» ha spiegato. Nel suo nuovo esecutivo spiccano due nomi; il primo è il ministro dell’Economia Paulo Guedes, ultraliberista, ex Chicago Boys, per far cassa vorrebbe privatizzare tutto, dalle grande banche pubbliche alla compagnia petrolifera Petrobras, che si sta rimettendo in sesto dopo gli scandali di corruzione. Poi c’è Sergio Moro, il magistrato dell’inchiesta Lavajato, la Mani pulite brasiliana, responsabile della condanna di Lula. Moro controllerà oltre alla Giustizia anche la Sicurezza pubblica e la lotta ai delitti fiscali ed è sicuramente il «tecnico» più popolare nell’esecutivo. Occhi puntati anche sul ministro degli Esteri Ernesto Araujo, diplomatico di medio rango ammiratore di Trump, negazionista rispetto agli effetti del cambio climatico e ostile all’accordo di Parigi. Sullo scacchiere internazionale è chiaro l’allineamento di Bolsanaro con Trump e il feeling con Israele, sancito dalla storica presenza di Benjamin Netanyahu alla cerimonia di insediamento. Se fra i Paesi europei il «preferito» di Bolsonaro è l’Italia (per il nostro Paese era presente il ministro Centinaio), anche grazie all’intesa con il vicepremier Salvini, spiccava comunque la presenza dell’ungherese Viktor Orban. In Sudamerica il modello di riferimento è il Cile neoliberista di Sebastian Pinera, a scapito del Mercosur e dell’Argentina di Mauricio Macri, Paese già in crisi e che potrebbe sprofondare ancora di più in caso di nuove guerre commerciali con il vicino.
Bolsonaro inizia il suo mandato con una popolarità oltre il 60%, ma nei prossimi mesi dovrà affrontare il tema spinoso della riforma della previdenza pubblica, possibile solo con l’appoggio del Parlamento, dove dovrà cercare i voti dei partiti di centro. Il sistema pensionistico è a rischio collasso e pesa fortemente sui conti pubblici. Per questo, nel suo primo discorso Bolsonaro ha fatto diversi riferimenti alla collaborazione tra esecutivo e legislativo; dopo 30 anni da deputato e l’esperienza dell’impeachment a Dilma Rousseff, il neopresidente sa bene che poco si muove in Brasile senza il placet della tentacolare macchina del Congresso.
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