Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/12/2018, apag.14 con il titolo "Non va a messa: militare degradato 'Ha disobbedito' " il commento di Rubina Bon
Il titolo, molto azzeccato, la dice già tutta: Treviso è pronta per l'introduzione della Sharia cattolica. Esageriamo? Forse, ma i segnali di una sciagura prossima ventura è bene segnalarli, per non sorprendersi quando poi diventeranno la norma.
Il militare andrebbe invece eleogiato per la serietà con cui svolgeva il servizio militare. Invece la condanna è stata confermata dai tribunali, cui erano ricorsi i suoi avvocati, con giustificazioni penose oltre che irrilevanti. Se la Corte Suprema ha qualche ragione di esistere, ci auguriamo che gli avvocati ricorrano contro la sentenza. Spesso dubitiamo di vivere in uno Stato laico, questa storia ce lo conferma.
P.S. La Stampa è l'unico giornale a riportare questa incredibile storia. Anche questo è un segnale.
Rubina Bon
I superiori gli avevano ordinato di presenziare in orario di servizio alla messa di Pasqua in ricordo di un commilitone morto. Ma lui, un napoletano del 1979, all’epoca in forze all’Esercito nella caserma di Motta di Livenza, nel Trevigiano, si era rifiutato. «Non sono credente», la sua giustificazione, sostenendo che il dissenso fosse espressione di una libertà tutelata dalla Costituzione. Ma anche che la partecipazione a funzioni religiose non rientri nelle finalità della divisa che all’epoca indossava. Per questo suo rifiuto, il militare era stato condannato per disobbedienza pluriaggravata dal tribunale militare di Verona. Era poi scattata una pesantissima sanzione disciplinare: la perdita del grado per rimozione con cessazione dal servizio permanente. Il Tar Un provvedimento, quello della Direzione per il personale militare della Difesa, che nel 2013 il campano ha impugnato davanti al Tar di Venezia, difeso dagli avvocati Giorgio e Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli e Giampaolo Bevilacqua, per chiederne l’annullamento. I giudici amministrativi l’altro giorno hanno deciso, dando ragione al Ministero. «Il provvedimento, la cui motivazione richiama la gravità del comportamento del militare, i suoi numerosi precedenti e l’incompatibilità della condotta con il grado rivestito e lo status di militare in servizio permanente, costituendo una violazione dei principi di gerarchia che improntano l’ordinamento militare tale da minare il rapporto di fiducia, appare esente da censure e non contrasta con i principi di proporzionalità e gradualità», scrivono i giudici. Fino ad allora la carriera del militare non era immacolata: a luglio 2011 era stato sospeso sei mesi in seguito a una condanna per insubordinazione con minaccia e ingiuria aggravata. Nella sentenza si ricordano anche «un rilevante numero di sanzioni disciplinari e ripetute valutazioni negative da parte dei superiori». Quanto al rifiuto a partecipare alla messa, i giudici rilevano come il militare non si fosse preoccupato di avvisare i superiori di non essere credente. Non essersi mosso per tempo «induce a dubitare che l’interessato abbia realmente inteso tutelare i propri diritti costituzionalmente garantiti della libertà di pensiero e religiosa». La partecipazione alla messa era prevista dal comando come un’attività di servizio a cui presenziare in divisa. E come tale, il militare avrebbe dovuto rispondere solo in un modo: «Obbedisco».
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