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Corriere della Sera Sette Rassegna Stampa
20.12.2018 La storia di Margherita Sarfatti
Commento di Micol Sarfatti

Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 20 dicembre 2018
Pagina: 64
Autore: Micol Sarfatti
Titolo: «Margherita Sarfatti, lessico famigliare»

Riprendiamo da SETTE di oggi, 20/12/2015, a pag. 64, con il titolo "Margherita Sarfatti, lessico famigliare", il commento di Micol Sarfatti.

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Micol Sarfatti

OSSERVO MARGHERITA SARFATTI in uno dei ritratti in mostra, in questi giorni, al Museo del Novecento a Milano. I capelli rossi, lo sguardo fiero, un'energia che filtra anche dalla posa statica nel quadro. Nelle sale sono esposti i suoi scritti e le sue fotografie, le opere degli artisti da lei promossi: Marinetti, Boccioni, Funi, Sironi. Le lettere che scriveva e riceveva, i suoi libri. Quante cose è stata questa donna nata a Venezia nel 1880. Intellettuale, scrittrice, giornalista, fondatrice del movimento artistico Novecento, prima critica d'arte del XX secolo, femminista ante litteram, donna di potere in una società maschile. Amante, ebrea, di Benito Mussolini; sua biografa, con Dux; confidente e consigliera, poi scartata e dimenticata. Madre straziata dalla perdita del figlio Roberto, morto giovanissimo durante la Prima Guerra Mondiale. Margherita ed io portiamo lo stesso cognome. Non è un caso di omonimia. Nata Grassini, Margherita sposò l'avvocato veneziano Cesare Sarfatti, un mio prozio. Una parente lontana e acquisita. Non l'ho mai conosciuta. E’ morta nel 1961, ventidue anni prima che io nascessi. Eppure, in qualche modo, quella donna insolita ha sempre fatto parte di me. Condividiamo cognome, iniziali e - con le dovute proporzioni - anche il mestiere. L'ho vista per la prima volta da bambina, sulla copertina di una biografia trovata in casa. II volto era scolpito da Adolfo Wildt. Seguivo con il dito la stampa del mio cognome e iniziavo a incuriosirmi. Margherita era fascinosa: capace di pensieri raffinati e passioni violente. Curiosa, aperta, seduttrice, cittadina del mondo. Una donna che poteva scegliere una strada comoda e disseminata di agi e, invece, ne ha scelta una diversa, più eccitante, ma piena di ostacoli.

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Margherita Sarfatti

MI È STATO SPESSO CHIESTO: «Ma tu sei sua parente?». Durante i miei studi universitari in Lettere, più di un docente esprimeva giudizi. «Personaggio interessante, Margherita Sarfatti - ha commentato asciutto un professore - peccato sia stata dimenticata». Nel corso degli anni ho registrato, con orgoglio riflesso, l'ammirazione che tanti nutrono per lei; e ho discusso con i suoi detrattori. Soprattutto con chi non può perdonarle di avere amato - lei, ebrea - il futuro ideatore delle leggi razziste, Benito Mussolini. Ho letto libri, visitato mostre, ascoltato racconti. Ho pensato alla scelta di Margherita di trasferirsi, ventiduenne, da Venezia a Milano, una città vivace, allora come oggi, protagonista della scena culturale italiana. Ho sempre voluto scoprire qualcosa in più di quella donna che portava il mio cognome. Un tratto del carattere, una lettera, un incontro. Ogni tanto Margherita Sarfatti — il suo sguardo, il suo piglio — faceva capolino dalle pagine di qualche rivista. Quasi sempre la didascalia includeva una definizione riduttiva e superficiale: "amante del Duce". Certo, è stata anche quello. Sarfatti, donna complessa, ha scelto un uomo tragicamente sbagliato. Ma quell'amore lo ha pagato: in vita e in morte. Cuomo che lei aveva costruito socialmente e intellettualmente - qualcuno l'ha definita «la spin doctor di Mussolini», la donna capace di trasformare un focoso giornalista in un'icona politica - l'ha fatta a pezzi. Lei, il suo pensiero e il suo mondo. Prima l'ha abbandonata, poi ignorata, infine costretta a rifugiarsi in Sudamerica per sfuggire alle deportazioni degli ebrei italiani.

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MARGHERITA non è stata riabilitata nemmeno dopo la caduta rovinosa del fascismo, nel dopoguerra. In tanti le hanno voltato le spalle. Aldo Cazzullo ha ricordato, sul Corriere, un episodio. Negli Anni 50, durante una Biennale di Venezia - manifestazione che le doveva molto - alcuni critici e giornalisti riconobbero Margherita e si rifiutarono di salire sulla stesso autobus navetta. Indro Montanelli se ne accorse, e scese con lei offrendole il braccio. È vissuta fino a ottantuno anni. È morta nella sua villa a Cavallasca, sul lago di Como, dove si era ritirata.

IN QUESTI ULTIMI ANNI - segnati dalla ricerca di modelli femminili forti, liberi, ribelli, indipendenti - mi sono chiesta perché Margherita Sarfatti non trovasse spazio. Né considerazione. In fondo, era una donna che aveva rotto molte convenzioni della sua epoca, e allo stesso tempo ne era rimasta Impigliata Una donna capace di dire: «Noi non siamo illogiche. Al contrario, siamo più logiche degli uomini, ma in modo diverso. Andiamo dritte all'obiettivo, guidate dall'istinto che ci indica la strada più breve e sicura, anche se non è la principale». Oppure: «Alla donna francese riconosco la conquista di due grandi libertà, amare come vuole e avere l'età che le piace». Ma Margherita Grassini Sarfatti era anche una donna entrata in società con il cognome del marito; e diventata nota, poi, più per un amante che per il suo lavoro. Nel 2015 è stato pubblicato Margherita Sarfatti. La regina dell' arte nell' Italia fascista di Rachele Ferrarlo, prima biografia scritta da una donna, dopo quelle di Roberto Festorazzi e degli storici americani Brian Sullivan e Philip Cannistraro. Ha scritto diffusamente di lei anche uno storico culturale di Oxford, Guido Bonsaver (Censorship and literature in fascist Italy, 2007 - Mussolini censore, 2013). Margherita Sarfatti è anche tra protagonisti del recente romanzo M Il figlio del secolo di Michele Scurati. In questo periodo ben due mostre la raccontano in contemporanea, fino al 24 febbraio: Margherita Sarfatti. Segni, colori e luci al Museo del Novecento di Milano; e Margherita Sarfatti. f! Novecento italiano nel mondo al Mart di Rovereto (Trento).

«ABBIAMO VOLUTO RIDARE a Margherita Sarfatti la giusta dimensione», mi spiega Anna Maria Montaldo, direttrice del Museo del Novecento. «Era una donna molto intelligente, con uno sguardo contemporaneo e lungimirante sulla cultura. Aveva intuito l'importanza della comunicazione nell'arte. Eppure, troppo spesso, è stata appiattita con l'etichetta di "amante di Mussolini"». «La Sarfatti era certamente una signora colta e privilegiata — prosegue Montaldo — ma era convinta che le donne potessero avere un ruolo pubblico e intervenire in modo attivo nella società. Le sue vicende private possono essere discutibili, ma non giudicabili». Rachele Ferrario, la sua biografa, è storica dell'arte e docente all'Accademia di Brera. La descrive così: «Margherita Sarfatti era determinata, ma anche molto insistente», mi racconta. «Aveva un grande senso della liturgia, della vita e della morte, della rappresentazione di se stessa. È stata una pioniera anche in questo». Cosa può insegnarci oggi? «Alle donne la libertà, agli uomini il rispetto per l'intelligenza femminile». Le sue colpe? «Ha fatto molti errori, ma li ha pagati tutti. Come spesso accade al genere femminile», conclude Ferrario. «Ha attraversato il secolo con consapevolezza e tragicità. A Hollywood, sui di lei, avrebbero già fatto un film».

CHISSÀ CHE, dopo libri e mostre, sia proprio questo il prossimo passaggio. Sinceramente, me lo auguro. E credetemi: non c'è conflitto di interessi, non è una questione di famiglia e di cognome. Margherita Sarfatti è parte della storia italiana: un'avventura in attesa di essere raccontata.

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