“Lascio il partito che ho fondato più di trent’anni fa”, ha dichiarato Ariel Sharon, annunciando contemporaneamente che alle elezioni anticipate del marzo prossimo lui sarà alla guida un nuovo partito, al quale ha già trovato il nome, “Responsabilità Nazionale”. Chi pensava che si sarebbe ritirato dopo la rivolta all’interno del suo stesso partito, deve prendere atto che il dissolvimento del Likud, causato dalla sua uscita, è stato un gesto di magistrale capacità politica. In pochi giorni la scena israeliana è stata messa sottosopra da un cambiamento epocale. Sharon, qui sta il suo capolavoro politico, contrariamente a quel succede sempre in politica, non ha cercato di ricucire, modificare, ritrattare, giustificare, come accade, tanto per fare un esempio, nel nostro paese quando un governo traballa, quando i voti per governare scendono al di sotto del 50% o quando un ribaltone annulla il risultato elettorale. E’ vero che Israele ha problemi diversi dai nostri, ma quello della governabilità è comune. Da noi, un partito che sembrava nuovo, di fatto si è trasformato nella levatrice di uno che si riteneva morto e sepolto, da noi, invece di mettere alla porta chi non mantiene i patti sottoscritti ma strizza l’occhio a destra e a manca, rimane saldo al governo, non causa elezioni anticipate, anche se gli si imputa di impedire al governo di governare. Con i risultati che conosciamo.
Sharon avrebbe potuto dire che l’uscita da Gaza, lo smantellamento di alcuni villaggi in Cisgiordania non avrebbero avuto un seguito, tacitando l’opposizione interna e la destra religiosa. Con gli alleati laburisti, prima delle loro primarie, avrebbe potuto rinsaldare l’alleanza di governo concedendo poltrone, allontanando la minaccia dell’arrivo del capo del sindacato. Sharon ha fatto l’opposto. Gli è bastato un fine settimana nel suo ranch insieme ai consiglieri più fidati e la decisone era presa. Ai suoi deputati, che comunque non gli avrebbero mai più garantito una maggioranza solida anche in caso di vittoria, ha detto accomodatevi, tenetevi pure il Likud, una vittoria con voi non mi interessa, sarei continuamente sotto ricatto, sareste voi a governare e non io. A Shimon Peres, ma questa è soltanto una supposizione, non lontana però dal vero conoscendo l’uomo, Sharon offrirà di continuare l’alleanza, ben sapendo che non sarà solo un gesto verso il partner di governo che ha reso possibile e concreto il piano di pace con i palestinesi. Peres, se ad 82 anni avrà ancora la voglia politica di continuare la lotta, potrà raccogliere intorno a sé quella fetta più che ragguardevole di voto laburista che mal sopporterà la deriva statalista impressa dall’altro Peretz al partito che fu anche di Rabin. In fondo si assomigliano nel destino politico. Entrambi sono fuori dai loro partiti, entrambi antepongono un progetto politico a quello partitocratrico. Se Peres è di fatto isolato dal gruppo dirigente laburista, diverso è l’elettorato, che nei mesi scorsi si era espresso in maggioranza addirittura in favore di una alleanza Likud-Laburisti con a capo Sharon. E’ a questo elettorato, insieme a quello di centro che l’ha seguito nel suo distacco dalla destra più estrema, che Sharon guarda. Per sapere se lo appoggerà ancora ha scelto la strada del coraggio, esattamente l’opposto dei quello che avviene in Europa, dove in Germania, per esempio, i democristiani della Merkel, pur avendo vinto le elezioni, si alleano con i socialdemocratici riformando sì subito, ma nel senso opposto a quello promesso durante la campagna elettorale. Nei prossimi giorni vedremo con più chiarezza i contorni definitivi di “Responsabilità Nazionale”. Per intanto il nome è stato registrato e la corsa elettorale è iniziata. E il regista è sempre lui, Ariel Sharon. |