Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/12/2018, a pag.10 con il titolo 'L’identità religiosa tra i musulmani aumenta e i laici sono in calo' l'intervista di Francesca Paci a Felice Dassetto, professore emerito dell’Università di Louvain e islamologo.
La laicità tra i musulmani non è in crescita, afferma l'islamologo Felice Dassetto, mentre l'identità religiosa è forte in circa l'80% degli islamici. Non stupisce dunque che l'estremismo intollerante e il jihadismo trovino terreno fertile per svilupparsi. L'Europa non ha una linea per fronteggiare il problema: se non la troverà al più presto, è destinata a capitolare di fronte all'islam...
Per approfondire, rimandiamo alla pagina pubblicata su IC a proposito del libro di Jean Birnbaum "Musulmani di tutto il mondo, unitevi!" (Leg ed.): http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=73076
Ecco il pezzo:

Francesca Paci
«Quello di Strasburgo è l’ultimo colpo di coda dello jihadismo come lo abbiamo conosciuto finora». Felice Dassetto, professore emerito dell’Università di Louvain nonché decano degli islamologi europei, guarda già oltre l’attentato del mercatino di Natale: cosa ci aspetta adesso? Sì, perché, ammonisce il fondatore del Centre Interdisciplinaire d’Études de l’Islam dans le Monde Contemporain, archiviare la radicalizzazione con la fine dello Stato Islamico sarebbe piuttosto ingenuo.

Felice Dassetto
Che tipo di minaccia rappresentano oggi i lupi solitari?
«Cherif Cekatt e la sua famiglia rientrano nel solco della vecchia tradizione salafita radicale ma il terrorismo che rimanda ad al Qaeda e all’Isis mi pare rientrato, da un lato è più monitorato e dall’altro, con la sconfitta in Iraq e Siria, ha perso appeal. La domanda è quale sarà la nuova narrazione jihadista, che forme prenderà. Sarà ancora antropocentrico? Informatico? Biologico? Non vedo indizi chiari ma nell’islam sta succedendo qualcosa».

C’è un cambio di passo positivo o è un’involuzione?
«Dobbiamo concentrarci sul mondo musulmano arabo mediterraneo perché gli altri, quello asiatico per esempio, non hanno subito scossoni recenti equiparabili alle primavere del 2011. Il cambiamento riguarda l’islam nordafricano e quello europeo. L’Arabia Saudita propone un percorso, ma per andare oltre la cosmesi bisogna seguire l’università di Medina, dove si formano i musulmani non arabi e dove sono nati i leader salafisti degli Anni 90. Anche il Marocco fermenta, l’università al-Qarawiyyin è passata sotto il controllo dello Stato e ha introdotto un po’ di scienze sociali, materia che va tanto di moda per interpretare il radicalismo. Eppure mi sembra che, al di là della vernice, l’establishment religioso non abbia inquadrato il nodo ideologico tra salafismo e Fratellanza musulmana e radicalizzazione, e che non si confronti con un approccio serio al testo sacro: non vedo una vera trasformazione del pensiero esegetico religioso».
Si dice che tra i musulmani aumentino i laici. È così?
«Non direi. C’è un po’ di disaffezione, ma non c’è un abbandono di massa della fede, il fenomeno riguarda al massimo il 10, 15%. Magari cala la pratica, il consumo di carne halal: ma l’affermazione dell’identità religiosa supera l’80%. Certo questo islam identitario ha bisogno di una nuova socializzazione religiosa come risposta al terrorismo, ma la trova piuttosto nel ritorno all’islam pio, devoto, meno politica e più ortodossia. Il venerdì in moschea ci sono più giovani».
Che tipo di cambiamento è una risposta religiosa alla violenza in nome di Dio?
«Il salafismo pietista, più dei Fratelli Musulmani, sta investendo sulla socializzazione dei bambini e le donne. Ci sono tantissimi nuovi libri didattici con una grafica moderna che promuovono un salafismo soft, un approccio dottrinale non calato dall’alto ma centrato sui bisogni dal basso: è un islam conservativo ma con un paradigma nuovo da cui, in teoria, potrebbe aprirsi la discussione sull’indiscutibile».
A che punto è l’integrazione?
«Ho l’impressione che malgrado i tanti appelli seguiti agli attentati del 2015, 2016 e 2017, i ponti abbiano attecchito poco in Europa. Gli studi dicono che anche i giovani di terza e quarta generazione, i figli di genitori nati qui, mantengono una certa esitazione sulla loro appartenenza».
Cosa può fare l’Europa?
«L’America ha una politica islamica, che piaccia o meno: lavora per favorire un islam a cui è interessata, alternativo ai Fratelli Musulmani e ai salafiti. L’Ue invece, nonostante la sua posizione geografica, non ha una strategia che incoraggi un islam meno conservatore. Qualcosa si muove tra i giovani musulmani ma sono isolati, fanno leva sul web e gli “I like” in mancanza di forza sociale, non hanno leader. Eppure è lì che succederà qualcosa, tra i giovani uomini e soprattutto tra le donne, c’è molta attesa».
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