L’avevano osannato per quarant’anni, era stato Mister Palestina, il padre amoroso di un popolo che si riconosceva e si affidava ciecamente a lui, l’avevano ricevuto nei parlamenti di mezzo mondo salutandolo con gli inchini più compiacenti, era di casa ricevuto con tutti gli onori dai grandi di questa terra, appena apriva bocca le sue parole venivano registrate puntualmente da inviati e corrispondenti, le sue interviste occupavano sempre le prime pagine dei giornali. Quei pochi che avevano capito fin dall’inizio di che stoffa era fatto Yasser Arafat erano guardati con una sorta di compatimento, relegati nel novero dei cattivi sionisti, quelli che non avevano cuore per le sofferenze del popolo palestinese, dei pazzi addirittura, che invece di accusare Israele di ogni nefandezza ritenevano invece il rais primo responsabile delle disgrazie del suo popolo. Oggi, a distanza di appena un anno dalla morte, non abbiamo trovato sui nostri giornali nemmeno uno straccio di articolo, quattro righe tanto per salvare la faccia dopo tanti anni di peana in lode. Certo, ci sarebbe voluto un bel coraggio dopo tutto quel che è venuto fuori dai giorni della sua degenza all’ospedale parigino, lo scannarsi sul suo enorme patrimonio tra la quasi-vedova e quanti non volevano lasciarsi sfuggire quella montagna di dollari accumulata in tanti anni di “lotta di liberazione”, avrebbero dovuto ammettere i nostri “esperti” mediorientali che hanno fatto il bello e il cattivo tempo sui nostri grandi giornali che di Arafat non avevano capito un tubo, o meglio, che si erano rifiutati di capire chi era veramente in nome dell’odio viscerale contro Israele. Per carità di patria tralasciamo i nomi, ne riempiremmo più di metà articolo. Rileviamo, non nascondendo una certa soddisfazione, che dopo le rivelazioni che hanno finalmente aperto gli occhi anche ai più non vedenti, dopo un anno di penoso e, siamo sicuri, sofferto silenzio, che anche oggi che ricorre il primo anniversario della morte, il silenzio continua.
Per la verità una eccezione c’è. Igor Man, chi se no ?, è l’unico che non ha saputo trattenersi, lui il principe dei vedovi del defunto rais. L’ha fatto ricorrendo ad un abile escamotage, commemorando il decimo anniversario dell’uccisone di Itzak Rabin sulla Stampa, è riuscito ad infilarci il suo grido straziato di dolore per non essere più in grado di tessere le lodi del grande bandito. Sentite cosa scrive: “Ne prenda nota il lettore, oggi che è quasi una moda rovesciar insulti e calunnie sul vecchio zaim palestinese, oggi che tristi figuranti del tragico balletto mediorientale, gentaglia con le mani sporche di sangue, nani politici s’affannano a gettar fango su Arafat, “. Più che una commemorazione, un ricordo, è un’invettiva, un’accusa a chi aveva capito tutto quando lui invece filava col rais il perfetto amore. Ma il destino cinico e baro ha cancellato Arafat dalla lista dei leader da rimpiangere. E’ finito con i colleghi Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot, tutta quella bella combriccola di gentiluomini che hanno fatto del massacro di innocenti l’hobby della loro esitsenza. Certo, una vita dedicata ad esaltare le lodi di un farabutto non è un traguardo del quale rallegrarsi, ma il nostro può stare tranquillo, è in buona compagnia.
Che i palestinesi, una volta liberatisi di Arafat, l’avessero cancellato dal loro futuro anche solo come ricordo, era una notizia già più che confortante. Adesso si aggiunge l’oblio definitivo (speriamo) dei suoi ex-cantori occidentali. Registriamo con piacere la buona novella.
da LIBERO del 10-11-2005 |