Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/12/2018, a pag.15, con il titolo "Gli Stati Uniti e le sanzioni all'Iran, accettarle non sia un obbligo" il commento di Sergio Romano
Iran, il paese che piace a Romano, insieme alla Cina
Sergio Romano si riconferma quale porta parola del regime degli ayatollah terroristi. Il linguaggio, apparentemente diplomatico, è in realtà quello di sempre del difensore dell'accordo obamiano sul nucleare. Qui Romano scrive contro le sanzioni, in linea con la posizione del Corriere.
Non stupiscono neppure le lodi alla Cina "L'esistenza di una grande potenza asiatica, fortemente impegnata nello sviluppo della propria società e del suo mercato, potrebbe rendere il mondo più equilibrato di quanto sia stato, sotto la guida americana, negli scorsi decenni" espresse in termini indegni di apparire sul primo (in quanto a tiratura) quotidiano italiano. Cina-Usa, 1 a zero in favore della Cina. Incredibile, non sarebbe arrivato a tanto neppure D'Alema!
Sergio Romano, quando si trasferirà al Fatto o al Manifesto?
Negli scorsi giorni, mentre il presidente degli Stati Uniti e il segretario generale del Partito comunista cinese si accordavano a Buenos Aires per interrompere con un armistizio la guerra dei dazi scoppiata fra i due Paesi, la polizia canadese dava seguito a una richiesta americana e arrestava all'aeroporto di Vancouver una cittadina cinese. Si chiama Meng Wanzhou, è figlia del fondatore di Huawei (il colosso cinese delle telecomunicazioni) ed è responsabile delle attività finanziarie dell'azienda paterna. Con un comunicato piuttosto scarno le autorità americane hanno fatto sapere che Huawei ha aggirato le sanzioni inflitte all'Iran dal governo degli Stati Uniti e venduto alla Repubblica islamica prodotti di quinta generazione (i più moderni e raffinati) che permettono di intercettare comunicazioni e penetrare nelle reti della telefonia mobile. La signora Meng, in particolare, avrebbe nascosto alle banche la reale destinazione delle merci. I problemi in questa vicenda sono almeno due. Il primo è quello della politica americana verso la Cina. Quando ha bisogno di tecnologie straniere, Pechino ha sempre dimostrato di avere una grande spregiudicatezza, ma non sarebbe diventata uno dei più promettenti mercati mondiali, con grande vantaggio delle imprese occidentali, se gli europei, in molti casi, non avessero chiuso un occhio. Li ha chiusi in particolare la Germania che, fra i Paesi esportatori, è quella più riluttante ad adottare contro la Cina una linea punitiva. La politica americana è alquanto diversa. Quando denunciano le «malefatte» del governo cinese, gli Stati Uniti sembrano essere motivati soprattutto dal desiderio di impedire che la Cina cresca sino a sfidare la loro leadership mondiale. Non credo che l'Europa sia tenuta a condividere le apprensioni americane. L'esistenza di una grande potenza asiatica, fortemente impegnata nello sviluppo della propria società e del suo mercato, potrebbe rendere il mondo più equilibrato di quanto sia stato, sotto la guida americana, negli scorsi decenni. Esiste poi il problema delle sanzioni il rispetto delle quali Washington vorrebbe presumibilmente imporre alla Cina. Sono evidentemente quelle resuscitate da Trump quando ha deciso di denunciare l'accordo sul nucleare iraniano che il suo predecessore aveva firmato a Vienna il 14 luglio 2015 con gli altri membri del Consiglio di Sicurezza, l'Ue e la Germania. Viviamo così in un mondo dove gli Stati Uniti fanno unilateralmente leggi internazionali (in questo caso le sanzioni), pretendono che vengano adottate anche da Paesi che non le hanno sottoscritte e approfittano della propria potenza finanziaria per imporre penali quando le aziende «colpevoli» operano sui territorio americano. Ripeto una domanda già fatta in altre occasioni: che cosa accadrebbe se la politica commerciale dell'Ue non fosse una competenza della Commissione di Bruxelles e ogni Paese dovesse affrontare da solo gli Stati Uniti?
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