Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 13/12/2018, a pag.1 "Andrea's Version", di Andrea Marcenaro; dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, con il titolo 'Cambio le missioni, ora via dall'Iraq e ne ritiriamo altri 100 in Afghanistan', l'intervista di Fiorenza Sarzanini al ministro della Difesa Elisabetta Trenta; dalla REPUBBLICA, a pag. 11, con il titolo 'Il ministro è andato alla parata di Netanyahu contro i militari italiani', l'intervista di Maria Berlinguer a Massimo D'Alema.
Per la prima volta IC critica un intervento ironico di Andrea Marcenaro. Il suo "Andrea's Version" di oggi è ignobile, perché mette a confronto i profughi ebrei reduci dalla Shoah della nave Exodus a quelli che oggi arrivano in Europa in gran parte clandestini.
Intervistata da Fiorenza Sarzanini, Elisabetta Trenta, titolare alla Difesa, critica le parole di Salvini su Gerusalemme capitale e l'ambasciata italiana e afferma che sarebbe meglio evitare interventi per non rompere gli "equilibri". Con "equilibri" Trenta intende probabilmente l'ostilità politica e diplomatica verso Israele, unica democrazia del Medio Oriente, alla quale anche l'Italia partecipa.
Molto peggio Massimo D'Alema, intervistato da Repubblica. Secondo D'Alema Hezbollah non è un movimento terroristico, la missione a guida italiana dell'Onu (Unifil) andrebbe difesa e "Gerusalemme è una città in parte occupata". Come se non fosse abbastanza, D'Alema rivendica la passeggiata sotto braccio ai capi di Hezbollah compiuta nel 2006, quando era Ministro degli Esteri.
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO - Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"
Andrea Marcenaro
A proposito della gradita visita e di Israele sempre nel suo cuore. Non riesco nemmeno a immaginare quante decine di chilometri di pellicola starebbe ancora girando Otto Preminger, se a dover autorizzare lo sbarco dei 4.515 clandestini ebrei della Exodus in fuga dall’Europa di Auschwitz ci fosse stato mister Salvini.
Corriere della Sera - Fiorenza Sarzanini: 'Cambio le missioni, ora via dall'Iraq e ne ritiriamo altri 100 in Afghanistan'
Elisabetta Trenta, ministro della difesa
Roma «Cambieremo tutte le missioni, ma rispetteremo gli impegni a livello internazionale». Il giorno dopo la polemica scatenata dall’uscita del vicepremier Matteo Salvini contro Hezbollah, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta ribadisce la necessità di evitare provocazioni. Salvini però ripete che sono «terroristi islamici».
Ministra Trenta il suo appello all’unità del governo è caduto nel vuoto? «Ma no, il governo è compatto, io ho solo detto che è indispensabile calibrare le parole, soprattutto quando si opera in contesti internazionali dove sono impegnati i nostri uomini. È una questione di sicurezza per i militari. Ne stiamo impiegando 13.700».
Però all’estero sono meno della metà. «Ce ne sono 7.200 impiegati in Italia nell’operazione Strade sicure che garantisce la sicurezza interna dei cittadini e altri 6.500 in teatri impegnativi come ad esempio quello iracheno, afghano e appunto libanese, proprio a Sud».
Ieri Salvini non ha escluso la possibilità di spostare l’ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme. «Io credo che debbano esserci due popoli e due Stati, lo ha ben chiarito il presidente della Camera Roberto Fico. In ogni caso eviterei ogni intervento che possa rompere equilibri già precari».
Avevate promesso il ritorno di almeno 100 soldati dall’Afghanistan. Avete cambiato idea? «È già previsto nel decreto missioni, ma con il nuovo provvedimento ne ritireremo altri 100 e chiuderemo “Presidium” a Mosul, dove il Califfato è stato sconfitto e non esiste più il pericolo per la diga».
Questo non creerà problemi con gli alleati? «Onoreremo gli impegni, in Iraq resteremo al fianco della Nato nella missione di training ma sono cambiate le condizioni e dunque le nostre prospettive».
E i soldati fermi in Niger? «Dopo 8 mesi siamo riusciti a sbloccare la missione. I militari sono già operativi nel controllo delle aree a supporto del governo nigerino per la formazione finalizzata al controllo dei flussi migratori verso l’Italia. Insomma, seguiamo l’interesse nazionale».
L’attacco a Strasburgo ha dimostrato che l’allarme terrorismo è ancora altissimo. L’Italia ha un dispositivo adeguato? «Purtroppo lo ripeto da tempo, ormai le dimensioni della minaccia sono cambiate, parliamo di una minaccia mutevole, ibrida, alla quale dobbiamo far fronte rivedendo alcuni assetti. Io credo sia indispensabile rimodulare il concetto di difesa nazionale e sto portando avanti un progetto di intesa interministeriale».
Che vuol dire? «Non possiamo continuare a ragionare individualmente, ma procedere in modo interconnesso tra Difesa, Viminale, Mit e altri ministeri, con la guida di Palazzo Chigi. Dobbiamo far fronte alle nuove forme di attacchi, come quelli cibernetici. È il momento che anche l’Italia si doti di una National security strategy sul modello Usa, ovvero un documento di strategia di sicurezza nazionale. C’è un gruppo di lavoro interministeriale che già si sta confrontando sul tema».
State pensando a nuove misure? «Il dispositivo Strade sicure viene coordinato nell’ambito del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, ma credo che debba essere rafforzata la formazione, specializzandoli anche in attività specifiche e diversificate».
Entro un mese bisognerà approvare il decreto missioni. Teme difficoltà? «Il Parlamento ha l’ultima parola e francamente non credo ci saranno problemi. I cittadini sanno che noi lavoriamo per la loro sicurezza. I nostri militari sono dei servitori dello Stato, operano per il Paese, seguono l’indirizzo politico ma non si fanno condizionare da un titolo di un giornale. Per questo mi auguro che i partiti e le forze parlamentari ispirino la propria posizione al senso di responsabilità verso l’Italia».
Il governo ha nominato il nuovo ambasciatore in Libia. «L’impegno del nostro Paese per l’avvio del processo di pacificazione che sia innanzitutto intralibico è massimo. La stabilizzazione della Libia, dando voce a tutti gli attori rappresentativi sul territorio, è prioritaria. Una Libia sicura significa un’Italia sicura e un’Europa più sicura».
LA REPUBBLICA - Maria Berlinguer: 'Il ministro è andato alla parata di Netanyahu contro i militari italiani'
Massimo D’Alema nel 2006 a Beirut con i capi terroristi di Hezbollah
Massimo D’Alema, ex premier ed ex ministro degli Esteri. Gli Hezbollah sono terroristi islamici come dice Salvini? «Sembra una definizione superficiale, anzitutto perché per terrorismo islamico noi intendiamo organizzazioni di matrice salafita o wahabita, noi conosciamo Isis e Al qaeda, mentre Hezbollah è una forza che contrasta vivamente questi movimenti e che concorse in modo molto rilevante a combattere lo Stato islamico. Forse Salvini dovrebbe approfondire la conoscenza di questo mondo complicato. Sicuramente Hezbollah è un partito armato, ma fa parte della vita democratica libanese e ha un’ampia rappresentanza in Parlamento e di tanto in tanto anche al governo. Quindi, definirlo un gruppo terroristico è superficiale dal punto di vista culturale e politicamente è del tutto improduttivo».
Le parole di Salvini mettono a rischio la missione Unifil e i nostri soldati? Ha ragione il ministro della Difesa? «Ha ragione il Ministro della Difesa a prendere le distanze da questa considerazione, anche perché a differenza di Salvini, parla con cognizione di causa. Ma la cosa che mi colpisce di più è che Netanyahu ha coinvolto impropriamente Salvini in una manifestazione di propaganda. Questa manifestazione aveva come scopo esercitare una pressione critica verso il modo in cui Unifl svolge il proprio ruolo. Tant’è che dopo questa parata propagandistica Netanyahu ha detto a Salvini che i militari italiani devono combattere Hezbollah, cosa che non fa parte del mandato delle Nazioni Unite. Quello che trovo inaccettabile per un Ministro della Repubblica Italiana, che dice "Prima gli italiani" è il non rendersi conto di andare ad una manifestazione contro i militari italiani. Mi sembra un dovere elementare, per uno che va al confine tra Israele e Libano che da dodici anni è presidiato dalle forze armate italiane, informarsi con loro di cosa pensano della situazione di quel confine anziché andare a fare il portavoce della posizione di Netanyahu».
C’era lei alla Farnesina quando fu decisa la missione internazionale. Il bilancio? «D’intesa con la Ue e gli Usa, quando scoppiò nell’estate del 2006 il conflitto tra Israele e Libano causato da una una provocazione militare di Helzbollah seguita da una reazione molto pesante, l’Italia prese l’iniziativa per cercare di promuovere la pace in quella regione. Questo fu uno dei maggiori successi politici dell’Italia, che per la prima volta ha avuto il comando di una missione internazionale di questo rilievo dal dopoguerra».
Oggi Salvini si è detto favorevole a Gerusalemme capitale, come Trump e Orban. « Gerusalemme è una città in parte occupata da Israele e le Nazioni Unite e l’Unione europea chiedono a Israele di ritrarsi dai territori occupati con la guerra del ’67 e questo vuol dire anche da una parte di Gerusalemme. Quindi, l’annessione di Gerusalemme da parte di Israele è atto contrario al diritto internazionale, fortemente lesivo della sensibilità dell’intero mondo arabo. Non credo ragionevole che l’Italia si unisca al riconoscimento di questa annessione».
All’epoca destò scalpore la sua foto a Beirut con un esponente di Hezbollah. Rifarebbe quella passeggiata? «Quella fotografia fu scattata il giorno in cui il conflitto cessò. Nelle due ore precedenti alla fine del conflitto ci fu un bombardamento nel quartiere sciita di Beirut e quando io arrivai, accolto dal Ministro degli esteri del governo libanese, con il quale noi negoziavamo la tregua, andai a visitare i quartieri colpiti dai bombardamenti. Chi si impegna per la pace deve essere vicino alle vittime della guerra. Essendo noi i mediatori per la pace era impensabile non avere un rapporto con le autorità di governo di quel Paese democraticamente elette dai cittadini. La visita ad un quartiere bombardato dove le persone cercano tra le macerie i propri cari è difficilmente definibile "passeggiata" e spero che non debba più ricapitarmi».
Haaretz scrive che Israele di Netanyahu è diventato una fabbrica di certificati di perdono per i nazionalisti di tutto il mondo. «Colpisce molto che l’attuale leadership israeliana sia diventata il punto di riferimento di tutta la destra del mondo che, peraltro, credo sia qualcosa che non appartenga alla tradizione di Israele. Io penso che anche l’esasperazione delle tensioni in cui si impegna Netanyahu ha un’altra ragione: distogliere l’opinione pubblica israeliana dagli scandali, dalle accuse di corruzione che sono state rivolte contro di lui, non dai terroristi islamici ma dalla polizia del suo paese. A maggior ragione sarei cauto nell’andare a spalleggiarlo perché in questo momento si tratta di un governo che è particolarmente in discussione col suo paese».
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