Negazionismo turco e genocidio armeno Recensione di Alessandro Litta Modignani del libro 'I peccati dei padri', di Siobhan Nash-Marshall
Testata: Il Foglio Data: 12 dicembre 2018 Pagina: 3 Autore: Alessandro Litta Modignani Titolo: «I peccati dei padri»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/12/2018, a pag. III, la recensione di Alessandro Litta Modignani al libro "I peccati dei padri" di Siobhan Nash-Marshall (Guerini & Associati ed.).
Alessandro Litta Modignani, Siobhan Nash-Marshall
Una persona che ebbe una nitida comprensione sia del genocidio armeno, sia della mitologia turca, fu Adolf Hitler, con la celebre domanda: “Chi parla ancora oggi dello sterminio degli armeni?”. Siobhan Nash-Marshall, americana, docente di Filosofia teoretica, affronta il tema del negazionismo turco con un approccio originale, non solo strettamente storico. “Sempre più si radica in me la convinzione che le mani della filosofia siano figurativamente sporche di sangue – scrive nella prefazione. Non è un caso che il genocidio armeno sia stato replicato così presto e tanto meticolosamente dai nazisti. (…) Se era stato permesso ai turchi, perché non ai tedeschi?”.
La copertina (Guerini & Associati ed.)
Il negazionismo, spiega Nash-Marshall, fa parte degli intenti originari dei Giovani Turchi. Non solo il genocidio è stato accuratamente pianificato, ma anche la sua negazione, fin dall’inizio, prima che iniziassero le deportazioni e i massacri. Un negazionismo dunque “infra-genocidario”, e non solo post genocidario. All’origine della decisione vi è in particolare l’indipendenza della Grecia, che afferma il principio di appartenenza della terra ai popoli e alle culture autoctone, invalidando il diritto di conquista. Sulla base di questo “principio greco”, i turchi non hanno più un posto loro nel mondo, essendo all’origine un popolo nomade di conquistatori provenienti dall’Asia centrale. Gli ottomani controllano un impero esteso su tre continenti, ma sono consci di non avere una cultura nazionale, una letteratura, un’arte. Dominano nell’esercito e nell’amministrazione, ma sono assenti dalle attività economiche, commerciali, finanziarie e industriali. L’impero si sgretola, la paura attanaglia il gruppo dominante. Il “principio greco” porta al distacco di serbi, macedoni, bulgari, romeni. Nell’arco di due anni, l’impero perde la Libia e quasi tutti i possedimenti europei. Ai turchi resta l’Anatolia, il ridotto baluardo di una identità nazionale tutta da inventare. Ma qui convivono forti minoranze musulmane e cristiane: i curdi, i greci, soprattutto gli armeni, “la più mortale delle minacce”. Occorre “eliminare ogni traccia di armenità: le vite degli armeni, i cimiteri armeni, la cultura armena, la storia armena, l’architettura armena, i nomi armeni (…) Il genocidio è un esempio tremendo e radicale di male morale”. Sulla fase centrale dei massacri l’autrice stende un velo di pietoso pudore: “Esistono tanti modi per uccidere le persone. Sulle indescrivibili torture che gli armeni soffrirono prima della loro morte, è meglio fare silenzio”. Alla fine del ’16 il pericolo armeno è eliminato. Salito al potere, Atatürk decreta l’ideazione della Ipotesi storica turca, “il più significativo e intricato tentativo di ingegneria sociale al di fuori del comunismo”. Un puro mito, fondato su basi false e pseudoscientifiche. Nelle conclusioni, NashMarshall definisce il negazionismo “un’aggressione intellettuale” e ammonisce: “Il genocidio non si conclude con la sua ultima vittima umana: la negazione continua il processo genocidario”.
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