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Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di MIlano, dicembre 2018, a pag. 11 con il titolo "Lo strano caso del regista Itay Tiran (e del quotidiano Haaretz). L'odio di sé in una delle sue tante incarnazioni" il commento di Angelo Pezzana.
Il mondo dello spettacolo è affascinante, grazie anche alle sue contraddizioni, perché nulla è più respingente di ciò che è prevedibile. La regola vale ovunque, ma quando si tratta di Israele la parola ‘ovunque’ andrebbe pensata con l’aggiunta di una spiegazione, altrimenti si rischia di non capire una delle tante sue peculiarità, molte positive, qualcuna difficile da digerire.
Fra queste ultime, mi hanno colpito le dichiarazioni di Itay Tiran,38 anni, uno dei registi/attore di teatro più famoso a livello internazionale. La cultura israeliana, letteratura/cinema/teatro/danza ecc. è giustamente conosciuta e apprezzata in moltissimi paesi, spesso sorprendendo per la sua indipendenza di contenuti; ma come, se l’Israele che supera i confini è spesso soltanto quello legato al conflitto con i palestinesi, allora come si spiega che tutta la cultura che produce –quasi sempre con sostanziali aiuti economici da parte del ministero competente- è così libera, critica, come avviene in democrazia? Una domanda che si pongono soprattutto coloro che non conoscono il paese. Itay Tiran, dunque,ha rilasciato un paio di mesi fa una intervista, in cui esalta il BDS e critica il sionismo. La propaganda del movimento BDS la giudica ‘una normale forma di resistenza’, perché –sostiene- non è violenta, cioè non ha legami con il terrorismo. Che poi ne nutra l’ideologia il nostro non lo prende nemmeno in considerazione. ‘E’ una discussioni politica’, un approccio umano ai problemi’,come tale legittima. Sulla politica del governo dice ‘Mi alzo la mattina, bevo il mio caffè,leggo il giornale e mi rendo conto che la legge sullo Stato-Nazione è razzista, nazionalista e anti-egualitaria’. Dopo altre valutazioni, l’intervistatore gli chiede se ritiene che il sionismo sia eguale a razzismo. ‘Sì’, risponde il nostro, ed è un altro ‘sì’ quando gli viene chiesto se è eguale a colonialismo. E allora, che pensare? Ce lo suggerisce la breve biografia dell’artista, che- ma che bravo!- esclude, quando va in giro per il mondo, di sentirsi in un ‘esilio politico’. Infatti era in partenza per la Germania, al Teatro Statale di Stuttgart e poi per il Burgtheater di Vienna, gli intellettuali israeliani sono più che benvenuti, è sufficiente che sin esprimano come il nostro. In questo caso, essere israeliani è persino un valore aggiunto. Su quale giornale israeliano sarà uscita l’intervista? Per inviare al Bollettino la propria opinione, telefonare 02/ 483110225, oppure cliccare sulla e-mail sottostante |
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