E’ morto ieri a Vienna, all’età di 96 anni, Simon Wiesenthal. Ha dedicato più di sessant’anni della sua vita a cercare e catturare criminali nazisti. Diventò famoso in tutto il mondo quando, grazie alle sue ricerche, nel 1960 il Mossad catturò in Argentina Adolf Eichmann, uno dei massimi responsabili dello sterminio degli ebrei, che fu portato in Israele, processato e impiccato per delitti contro l’umanità. La sua esecuzione è stata l’unica nella storia dello stato ebraico perché in Israele non esiste la pena di morte. Ma la fama non lo allontanò mai dall’ ufficio viennese, nemmeno quando in suo nome vennero aperte filiali a Parigi, Gerusalemme, Los Angeles e il marchio "Simon Wiesenthal Center" lo fece conoscere come il più infaticabile cacciatore di nazisti.
Fra i tanti che Wiesenthal contribuì a far catturare ci fu anche Karl Silberbauer, che fu responsabile
dell’arresto e della deportazione a Bergen Belsen di Anna Frank. Accadde nel 1954, quando un giovane gli disse pubblicamente che riteneva la storia di Anna Frank un’ invenzione e che ci avrebbe creduto solo se lui avesse preso l’uomo che l’aveva arrestata. Ci impiegò cinque anni, ma alla fine ci riuscì. Non ebbe la stessa fortuna con Joseph Mengele, il medico soprannominato "Angelo della morte", responsabile degli esperimenti "scientifici" sui prigionieri di Auschwitz. Sapeva che era nascosto, come molti altri,da qualche parte in Sud America, ma ogni volta che stava per raggiungerlo, Mengele riusciva a fuggire. Non riuscì mai ad ottenere l’estradizione dalla Siria di Alois Brunner, che lì si nascondeva dopo essere passato in Egitto durante la fuga. "Uccidere ebrei non è considerato un crimine in Siria", aveva poi dichiarato.
Era nato il 31 dicembre del 1908 in una famiglia di commercianti ebrei a Buczacs, oggi Ukraina, in quello che era ancora l’impero austro-ungarico. Dopo gli studi a Praga e Varsavia si laurea in architettura, ma non doveva essere quello il suo futuro. Dopo aver sposato Cyla nel 1936, arriva la guerra. I nazisti occupano la città e solo per un miracolo riescono ad evitare di essere immediatamente uccisi. Vengono deportati e costretti ai lavori forzati nel campo di concentramento di Janwska. La prima cosa alla quale Simon pensò fu come salvare sua moglie. Cyla era una donna dai capelli biondi e occhi azzurri, sarebbe passata benissimo per polacca "ariana". Simon riuscì a procurale dei falsi documenti in cambio di informazioni sulla rete ferroviaria usata dal comando tedesco che fornì al movimento di resistenza clandestino. Simon non rivide più Cyla fino alla liberazione, dopo che entrambi avevano temuto l’uno la morte dell’altra. Wiesenthal fu prigioniero in diversi campi, sopravvisse, fino a quando l’esercito americano liberando Mauthausen in Austria nel maggio 1945 gli restituì la libertà. Pesava nemmeno cinquanta chili. Ritrovò Cyla, che si era salvata grazie ai falsi documenti. Di quell’esperienza raccontò poi che più volte aveva pensato al suicidio non riuscendo più a sopportare quella terribile umiliazione. Fu forse in quei giorni che Wiesenthal capì che nella sua vita non avrebbe fatto l’architetto. "Non c’è libertà senza giustizia", deve aver pensato quando decise che avrebbe dedicato tutte le sue forze a rintracciare i responsabili dello sterminio del suo popolo. Wiesenthal si rese conto molto presto che dopo il processo di Norinberga un velo di silenzio si sarebbe steso sopra migliaia e migliaia di nazisti, come se la condanna di pochi avesse potuto cancellare, quasi assolvere, i crimini di tanti altri. Che furono, per spietatezza e crudeltà, non certo minori.
Gli austriaci, un popolo che non ha fatto i conti con la propria storia e responsabilità, preferendo scaricarne la colpa sulla sola Germania, non mai amato Wiesenthal. Quell’uomo a Vienna, che scopriva dossier e nomi, che rivelava complicità e storie orrende, dava fastidio a chi voleva semplicemente dimenticare. Eppure Wiesenthal non era certo un fanatico o un estremista, come dimostrò quando Kurt Waldheim divenne presidente austriaco nel 1986. Waldheim aveva nascosto il suo passato di ufficiale nazista e quando la notizia si diffuse, Wiesenthal ritenne che il suo coinvolgimento nello sterminio non giustificasse una sua classificazione quale criminale nazista. Non lo assolse certo, anzi,ne chiese esplicitamente le dimissioni, ma non lo inserì fra i diretti responsabili. Questa scelta lo mise in contrasto con le organizzazioni ebraiche in Europa e in America, ma fece capire agli austriaci che non faceva di ogni erba un fascio.
Con Cyla ha avuto una sola figlia, Paulinka, che ha scelto di vivere con la sua famiglia in Israele.
In una intervista dichiarò che avrebbe voluto avere altri figli, ma che gli anni della guerra lo avevano impedito e che dopo, sia lui che Cyla, erano già troppo avanti negli anni. "I figli si fanno da giovani", disse. Wiesenthal non si trasferì in Israele. Forse lo ha desiderato, ma la considerazione che il suo lavoro avrebbe potuto confondersi con una possibile azione di propaganda governativa, lo ha sempre trattenuto a Vienna. Il suo motto era "Giustizia non vendetta", il raggiungimento della giustizia quando le normali vie giudiziarie non sono percorribili, era diventato lo scopo, l’ossessione della sua vita, come molti l’avevano definito. Portare la giustizia a quelli che l’avevano sfuggita. Il rabbino Martin Hier, che ha fondato il centro Wiesenthal a Los Angeles ha detto che "sarà ricordato come l’espressione della coscienza della Shoah, come il rappresentante delle vittime senza voce". Wiesenthal fu tra i primi a scagliarsi contro revisionisti e negazionisti della Shoah, contro la sua banalizzazione. "Equiparare la Shoah ad altri crimini significa annullarne la portata, Ogni ebreo ha portato su di sé la propria sentenza di morte. Mancavo solo la data".
La sua amata Cyla è morta due anni fa. Subito dopo Wiesenthal ha annunciato il suo ritiro dichiarando " Di criminali nascosti ce ne saranno ancora, ma devono essere troppo vecchi e deboli per essere processati oggi. Il mio lavoro è finito."
Per chi passasse da Vienna, a pochi minuti dal suo ufficio, c’è la Judenplatz, al cui centro è stato posto un monumento che ricorda gli ebrei sterminati durante la Shoah, mentre l’edificio al fondo della piazza, nella Dorotheergasse, ospita il nuovo Museo ebraico. Di fianco c’è il Café Hawelka, un locale della vecchia Vienna che piaceva a Simon Wiesenthal.
Ha ricevuto premi e onori, ma, ha detto, "quelli moriranno con me. Mi sopravviverà la volontà di combattere antisemitismo e razzismo, ancora così presenti nel mondo contemporaneo."
La caccia ai criminali nazisti è dunque finita con la morte del cacciatore di nazisti per eccellenza. Rimane il suo insegnamento, l’esempio di una vita.