I palestinesi festeggiano: a fuoco le sinagoghe 14-09-05
Li abbiamo visti nei telegiornali di ieri i palestinesi mentre abbattevano le sinagoghe abbandonate da Israele nella striscia di Gaza. Li abbiamo visti avventarsi su quei poveri muri con la violenza di chi crede che distruggere un edificio sacro equivalga alla libertà finalmente raggiunta. Così come nello scorso mese avevano finto di evacuare le colonie ebraiche con esercitazioni fasulle, perché l'impresa che non gli era mai riuscita nei decenni precedenti e ora si avverava per sola e unilaterale decisione israeliana, così oggi si stanno autoesaltando con un'azione miserabile, che tale non può essere definita diversamente. Mohammed Dahlan, il braccio destro di Abu Mazen a Gaza, ha poco da accusare Israele di averle lasciate in piedi per permettere alle televisioni di riprendere « l'azione di un popolo non civilizzato » . Distruggere un edificio religioso è azione tipica di gente non civilizzata. Se non voleva che le Tv riprendessero quell'orrido scempio aveva soltanto da impedirlo. NIENTE È CAMBIATO Ma sappiamo che era chiedere troppo. I palestinesi, abituati a regolare la loro vita non in base a dei criteri che attengono a principi di giustizia ma in base ai voleri del rais di turno questo hanno imparato e questo mettono in pratica. Se avessero rispettato quello che rimaneva degli edifici religiosi ebraici avrebbero dimostrato che effettivamente qualcosa stava cambiando negli usi e costumi di una popolazione che si sta avviando all'autogoverno. Avrebbero dimostrato ai loro ex occupanti che, per quanto li riguardava, la via della pace era di nuovo aperta. Invece no, hanno ancora una volta rimproverato Israele di essere l'unica responsabile del mancato abbattimento delle ventisei sinagoghe di Gaza, dando vita a un osceno balletto attorno a quei muri che stavano cadendo sotto i colpi di badili e martelli. Certo, Israele avrebbe potuto distruggere le proprie sinagoghe, il governo l'aveva già previsto a giugno, quando Abu Mazen chiese e ottenne da Sharon che tutte le case dei coloni venissero rase al suolo invece di rimanere in piedi ed essere consegnate dopo una trattativa ai palestinesi. Abu Mazen, conoscendo i suoi polli, temeva che ci sarebbe stata una folle corsa verso chi se ne impossessava per primo, facendo scattare chissà quali violenze proprio nel giorno nel quale avrebbe voluto essere libero di « festeggiare l'uscita del nemico » . DISINFORMAZIONE Un particolare, questo, che non ha trovato molto spazio sui nostri giornali, visto che molti credono che la distruzione delle case dei coloni sia stata una decisione di Israele e non di Abu Mazen. Israele ha sperato fino all'ultimo che un barlume di intelligenza sfiorasse le menti obnubilate di chi finora ha solo saputo adoperare la violenza per raggiungere l'obiettivo politico dell'indipendenza. Invano. Adesso cominceranno, sono già cominciate, le recriminazioni contro Israele che non fa abbastanza, che non cancella i controlli, che non restitutisce ad Hamas mare e cielo perchè organizzi meglio i suoi attentati, che si ostina ad impedire che le sue città di frontiera con Gaza vengano colpite dai missili Kassam. Invece di discutere di confini sicuri e condivisi, come farebbe qualunque popolo che avesse veramente a cuore la costruzione del proprio Stato, si direbbe che l'Autorità palestinese miri ancora e sempre alla distruzione dell'altro. Ma l'uscita da Gaza li ha spiazzati, urlino, gesticolino, abbattano sinagoghe, adesso il mondo, dopo aver aperto gli occhi su quel bandito di Arafat, è un po' meno pronto a mettersi sull'attenti e dire di si. La smettano di chiedere sempre aiuto, si rimbocchino le maniche, la smettano di distruggere e incomincino a costruire. Di sabbia a Gaza ce n'è tanta, comincino a strapparla al deserto e la facciano fiorire. Per imparare a farlo non devono poi guardare neanche lontano.