" Chi ha sognato" è il titolo del music hall appena andato in scena all'Auditorium Mann di Tel Aviv sulla vita di Itzak Rabin, il primo ministro israeliano assassinato dieci anni fa. Raccontare un paese attraverso la vita e la morte di uno dei suoi figli più illustri poteva sembrare un'idea stravagnate. In nessun paese la morte violenta di un uomo politico è finita sul palcoscenico. In più, una metà del paese lo ricorda con amore e nostalgia, l'altra metà preferisce evitare di pronunciarne persino il nome. Ma il decennale che sta arrivando, con tutte le celebrazioni ufficiali che lo accompagneranno, non era sufficiente per gli amici che ne sentono profondamente la mancanza. L'impresa di ricordarne la vita è toccata ad un gruppo di famosi attori, che hanno accettato di recitare sessanta anni di vita israeliana per ricordare quanto Rabin fosse uno di loro, quanto ne condividessero gli ideali. Non sembri strana neppure l'idea del music hall. La storia di Israele, segnata profondamente da cinque guerre, è andata avanti insieme alle canzoni che ne ricordano gli eventi. La maggior parte dei poeti e cantanti più amati dagli israeliani, da Naomi Shemer a Ehud Manor, ha per retroterra gli avvenimenti tragici che hanno coinvolto tutti, le canzoni più popolari sono quelle che si cantano insieme in piazza o nei concerti, ridendo o piangendo insieme. Diciamo subito che "Chi ha sognato" è un music hall all'israeliana, dove sulla ricchezza della scenografia- che ricorda più la spartana severità del kibbutz che non un palcoscenico di Broadway- prevalgono la storia,la bravura degli interpreti, il sentimento che riescono a comunicare allo spettatore che più di una volta applaude con un groppo in gola. In scena compaiono Rabin e la moglie Leah quando sono ancora studenti e insieme combattenti nell'Haganà, che poi diventerà,dopo la proclamazione dello Stato, Tzahal, l'esercito nazionale di difesa. Come tutti i giovani anche Itzak e Leah pensano agli studi che devono finire, a fondare nuovi kibbutz. I cori del Palmach, le unità di elite, e canzoni sentimentali si alternano mentre su un grande schermo compaiono per tutto lo spettacolo immagini reali che ricordano gli avvenimenti essenziali della storia d'Israele. L'effetto è così coinvolgente che una veloce apparizione del volto di Golda Meir, un volto segnato dalle rughe e dall'espressione triste e preoccupata, ce la fa sembrare persino bella. Curiosamente, gli altri famigliari sono assenti. Al loro posto, nella veste di protagonisti, un coppia di amici che furono legati a Itzak e Leah da intenso affetto e amicizia. A loro spetta il compito di tenere insieme scene e storie. Tutto lo spettacolo è scandito dalle date delle guerre. Quella di indipendenza del '48, la guerra dei sei giorni del '67, quella del Kippur del '73, quella del Libano dell'82, in ognuna Rabin è protagonista, da combattente per la libertà del suo paese, fino alla scelta di arrivare alla pace con i palestinesi dando fiducia a quell'Arafat che poi mostrò di non averla meritata, tradendo la stretta di mano e la firma che dovevano segnare la fine del terrorismo e la preparazione alla nascita dello stato palestinese. L'accordo con Arafat viene ricordato con le immagini e gli slogans che prepararono quel clima politico e sociale che poi armò la mano di Yigal Amir, il giovane estremista di destra che assassinò Rabin con tre colpi di pistola il 4 novembre 1995. Un Rabin che veniva disegnato sui manifesti con una Keffiah intorno al capo alla moda di Arafat, che veniva accusato di essere un SS nazista.La stessa arma di delegittimazione politica che abbiamo visto in questo mese di agosto sui muri di tutta Israele, con Sharon nelle vesti del peggiore antisemita per la sua scelta di lasciare Gaza e alcuni insediamenti in Cisgiordania. Questa volta l'arma politica si è fermata all'insulto da manifesto, senza andare oltre. In scena Rabin è interpretato da Oded Teomi, che è un po' il Vittorio Gassman israeliano, che con abilità ha saputo riprodurne alla perfezione modo di parlare, andatura, gesti. Leah è Ghila Almagor, l'attrice più famosa di Israele. Alla fine, mentre tre colpi di pistola squarciano lo schermo, pronuncia quelle parole che ancora oggi ci ricordano Rabin. "Shalom haver shelì, shalom Itzak shelì", addio mio compagno, addio mio Itzak. In piedi, mentre tutti l'ascoltano commossi, canta "Re'ut", amicizia, una canzone triste e tenera nello stesso tempo. Sono passati dieci anni da quei tre colpi di pistola. Yigal Amir non è stato linciato ma condannato all'ergastolo. Da quel quattro novembre di dieci anni fa, tutti i venerdì, ininterrottamente, chi passasse per quella piazza che oggi è dedicata a Rabin, troverebbe seduti in cerchio, sotto un'arcata di un palazzo, nell'esatto punto in cui Rabin venne assassinato, un gruppo di persone che da allora si riuniscono per ricordare un amico perduto. Per farlo hanno deciso di cantare insieme le canzoni che Rabin amava. Chi suona la fisarmonica, chi il clarinetto, chi va al microfono e canta. Venerdì scorso erano una trentina, vecchi combattenti del Palmach, sugli ottanta e oltre, qualcuno diritto e agile, altri in sedia a rotelle, anziane donne dai volti segnati dalle guerre, e anche giovani, che intonavano tutti insieme la canzone "Ein li erez acheret", non ho altra terra. L'abbiamo risentita con uguale commozione mentre sul palcoscenico veniva celebrato con un music hall quell'uomo che aveva sognato. E il cui sogno di pace Israele non ha mai abbandonato.