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La Stampa Rassegna Stampa
10.12.2018 Chi sostiene i 'gilet gialli' in Francia? Da Bannon a Grillo, da Casa Pound a Potere al Popolo
Commento di Jacopo Iacoboni, con un evidente errore

Testata: La Stampa
Data: 10 dicembre 2018
Pagina: 5
Autore: Jacopo Iacoboni
Titolo: «Grillo, Bannon e i russi: l’internazionale della protesta si riconosce nei 'gilet gialli'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/12/2018 a pag.5 con il titolo "Grillo, Bannon e i russi: l’internazionale della protesta si riconosce nei 'gilet gialli' " il commento di Jacopo Iacoboni.Jacopo Iacoboni.

E' un errore inserire Donald Trump nell'elenco dei peggiori populisti e sovranisti, quasi sempre filo-russi, d'Europa e d'America, da Grillo a Bannon, da Casa Pound a Potere al Popolo. Lo fa invece Iacoboni, zecondo cui i "gilet gialli" francesi sono le stesse persone che in America hanno votato per Donald Trump e in Inghilterra hanno scelto la Brexit. Affermazioni che il giornalista dovrebbe spiegare, mentre così non è. Stupisce da parte di Jacoponi, che ha sempre descritto con molto coraggio le malefatte dei 5Stelle.

Ecco l'articolo:

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Jacopo Iacoboni

È solo l’inizio, anche stavolta. Anche stavolta c’è una rivoluzione, ma di segno totalmente opposto rispetto alle speranze del ’68: una rivoluzione che è un paradosso, un’internazionale del nazionalismo populista, anti-europea, gridata e rabbiosa. Attorno al movimento dei gilet gialli si sta saldando un network di simpatie politiche, relazioni personali, operazioni di amplificazione sui social network, che vanno molto oltre la Francia e conducono, per una strada o per un’altra, sempre lì: ai protagonisti (o agli apprendisti stregoni) delle rivolte sovraniste nel mondo.

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Le violenze dei "gilet gialli" a Parigi

Il programma dei gilets jaunes funziona bene perché è un specchio in 25 pezzi ognuno dei quali offre a tanti la possibilità di vedersi riflesso. Donald Trump, per dire, scrive che i francesi protestano contro l’accordo sul clima: «L’accordo di Parigi non sta funzionando così bene per Parigi. Proteste e rivolte in tutta la Francia. Le persone non vogliono pagare grosse somme di denaro, molto in Paesi del terzo mondo (che sono gestiti in modo discutibile), al fine di proteggere forse l’ambiente. Cantano: “Vogliamo Trump!”. Amo la Francia». È dubbio peraltro che davvero qualcuno in piazza gridasse: «Vogliamo Trump» (notizia twittata da Charlie Kirk di Turning Point Usa, un’organizzazione di destra americana), ma dà una prima idea di quanti stiano soffiando sul fuoco dei «gilet», tanto non saranno loro a bruciarsi.

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Steve Bannon

Beppe Grillo, in un’intervista al Fatto intitolata «Vogliamo le stesse cose dei gilet gialli», ha sostenuto: «I gilet gialli hanno venti punti di programma, non parlano solo di tasse, vogliono il reddito di cittadinanza, pensioni più alte… Tutti temi che abbiamo lanciato noi». E un ex M5S, l’ex deputato torinese Ivan Della Valle, ha aperto la pagina Facebook del «Coordinamento italiano gilet gialli». I No Tav, sulla loro pagina Facebook, hanno definito quella di Parigi «una rivolta popolare che sta dando esempio a tutta Europa. Il mondo si divide in due parti, da una parte ci sono i popoli che lottano per un futuro decente per tutti, dall’altra un potere sempre più arroccato che difende gli interessi di pochi». Non più destra contro sinistra, ma popolo (sovranista e anti-Ue) contro élite.

Volente o nolente è il catechismo di Steve Bannon, che parlando a Bruxelles a un evento della destra europea (davanti tra l’altro a Marine Le Pen), proprio l’8 dicembre, ha detto che «siamo davanti a un conflitto su base globale», e «i gilet gialli sono lo stesso tipo di persone che hanno eletto Donald Trump presidente degli Stati Uniti nel 2016, e lo stesso tipo di persone che hanno votato per la Brexit. Vogliono avere il controllo dei propri Paesi». Gilet gialli uguali ai «deplorables» americani, insomma.

Soggetti esteri non creano, naturalmente, ma amplificano, incendiano, usano questo malcontento di varia natura nei Paesi europei con l’obiettivo ormai palese di distruggere l’Ue. Tre dei punti dei gilet (9, 22, 24) sono la «Frexit», l’uscita dalla Nato e la lotta senza tregua all’immigrazione. Stesso copione della Brexit (e del voto del 4 marzo in Italia?). Secondo un’analisi di New Knowledge, riportata da The Times, 200 account twitter monitorati e legati alla Russia hanno infiammato una media di 1600 tweet al giorno sull’hashtag #giletsjaunes. Un’altra analisi pubblica (di un ricercatore assai noto nella comunità informatica, «x0rz») mostra che tantissimi account centrali nella protesta sono stati creati con interfaccia americana.

In piazza c’erano bandiere della Repubblica filorussa del Donbass - per esempio quella sventolata da due noti militanti francesi pro-Putin, Fabrice Sorlin e Xavier Moreau, uno dei quali ha in giro anche una fotografia a un evento con Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen. Sorlin guida un think tank filorusso (Katehon) in contatto con Alexander Dugin - il filosofo rossobruno amato da Putin, ormai presenza fissa in Italia. Dugin ha twittato, in francese: «Je suis le gilet jaune».

E dall’Italia chi era a sfilare a les Champs? L’estrema destra di CasaPound, con Luca Marsella («Diamo sostegno ai gilet gialli. Tra le rivendicazioni, l’uscita dall’Ue»). Forza Nuova ha scritto una nota: «Non guardiamo a falsi sovranisti, non guardiamo a Salvini, emblema di un sistema liberale in declino, ma alle barricate parigine». In piazza a Parigi c’era però anche la sinistra radical di Potere al Popolo: «Siamo al corteo. Seguite la diretta con noi», hanno twittato.
Ha scritto Nouriel Roubini: «Quella dei gilet gialli è l’agenda di una Le Pen di destra, che è la loro base elettorale. Distruggere: l’eurozona, l’Ue, la Nato, e lasciare che la Russia prenda il controllo della Francia. Make Russia, not France, great again».

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