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La Stampa Rassegna Stampa
08.12.2018 Le sanzioni all'Iran sono un affare serio, complimenti a Trump e ai suoi consiglieri
Analisi di Paolo Mastrolilli

Testata: La Stampa
Data: 08 dicembre 2018
Pagina: 14
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Meng girava tecnologie agli iraniani»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/12/2018, a pag.15, con il titolo "Meng girava tecnologie agli iraniani" la cronaca di Paolo Mastrolilli

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Le sanzioni sono una cosa seria, Trump e i suoi consiglieri fanno sul serio

Complimenti al Presidente Usa e ai suoi consiglieri, così ci si comporta con chi infrange le sanzioni verso l'Iran, come è avvenuto con la complicità della Cina.
Un altro passo che aiuterà l'opposizione interna iraniana.
Molto accurata la ricostruzione di Paolo Mastrolilli.

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Paolo Mastrolilli

La Casa Bianca cerca di separare l’arresto della direttrice finanziaria di Huawei dal negoziato commerciale con la Cina, dicendo che il presidente Trump non era informato dell’operazione, quando aveva negoziato la tregua con il collega Xi a Buenos Aires. Wall Street però continua a perdere, temendo l’esplosione di una nuova guerra fredda, e la aziende americane stanno già pianificando di ridurre i viaggi nella Repubblica popolare, temendo che i proprio dipendenti possano essere fermati per rappresaglia. Ieri Meng Wanzhou, figlia del fondatore del colosso tecnologico della Repubblica popolare, è comparsa davanti alla Court of Appeal & Supreme Court di Vancouver, per cominciare il processo di estradizione negli Stati Uniti. L’accusa è quella di aver violato le sanzioni americane all’Iran, in particolare usando la banca HSBC per condurre transazioni illegali, e la compagnia di Hong Kong Skycom per vendere tecnologia Usa a Teheran. L’inchiesta è gestita dalla procura di Brooklyn, ed era stata avviata almeno dal 2016. Trump ieri ha cercato di alleggerire le tensioni con questo tweet: «Le discussioni con la Cina stanno andando molto bene». Il suo consigliere economico, Kudlow, ha spiegato cosa intendeva, cominciando dalla aspettative: «I contatti finora sono stati estremamente promettenti». Tra le altre cose, Pechino si sarebbe impegnata a comprare prodotti americani per oltre un trilione di dollari, e affrontare anche la questione della proprietà intellettuale: «Il presidente - ha aggiunto Kudlow - ha indicato che se ci saranno solidi progressi e buoni atti, potrebbe, dico potrebbe, essere disposto ad allungare la scadenza di 90 giorni per le trattative». In questo clima, sarebbe un peccato se l’arresto di Meng compromettesse tutto: «Sono due binari diversi. Se violi la legge, negli Usa come in Canada, devi pagarne le conseguenze. In questo caso poi le violazioni erano legate all’Iran, che è una questione molto delicata per noi». Lo stesso ha affermato Peter Navarro, uno dei consiglieri del presidente più duri con la Cina. Kudlow poi ha detto che i tempi dell’arresto sono stati una coincidenza, e Trump non era informato dell’operazione in corso, quando si era seduto a cena con Xi. Così ha contraddetto il consigliere alla Sicurezza nazionale Bolton, che il giorno prima aveva detto alla Npr di essere stato a conoscenza degli sviluppi dell’inchiesta. Queste rassicurazioni, però, hanno avuto un effetto limitato. A Wall Street l’indice Dow Jones è arrivato a perdere oltre 600 punti, in buona parte per i timori legati alla possibile esplosione di una guerra commerciale tra Washington e Pechino. Nella sede di Singapore di Google, poi, si è tenuta una riunione dello US Department of State Overseas Security Advisory Council, a cui hanno partecipato aziende come Disney, Alphabet, Facebook, PayPal. Il tema era la sicurezza in Asia, e molto di queste compagnie hanno iniziato a considerare la sospensione di tutti i viaggi non indispensabili nella Repubblica popolare, per il timore di rappresaglie. La paura è che i loro dipendenti vengano fermati, un po’ per rispondere all’arresto di Meng, e un po’ per avere pedine di scambio allo scopo di fare pressione. Le tensioni del resto non riguardano solo i commerci, ma la sicurezza nazionale, come conferma la notizia che Washington si prepara ad incriminare gli hacker cinesi del gruppo «APT 10», accusati di attacchi digitali contro gli Usa.

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