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I rotoli della torah sono sati portati via per ultimi, la grande menorah (candelabro a sette braccia) è stata definitivamente rimossa dalla sinagoga. con lo sgombero di Netzarim, nè un israeliano nè un simbolo della religione ebraica restano più nella Striscia di Gaza: si sono infatti concluse ieri nel pomeriggio le operazioni di disimpegno delle 21 colonie. Le ultime famiglie hanno abbandonato con rassegnazione le proprie abitazioni, senza opporre particolare resistenza. Oggi iniziaeranno in Cisgiordania le operazioni per svuotare le colonie di Homesh e Sa Nur dove sono asserragliati centinaia di estremisti della destra. Paradossale il destino di Israele. Ha subito negli ultimi sessant'anni cinque guerre che avevano come scopo la sua distruzione e il mondo, salvo poche eccezioni, gliene ha sempre attribuito la responsabilità, quasi come se difendere la propria esistenza fosse un segno di colpa. Silenzio invece su chi le guerre aveva voluto e massima comprensione per i palestinesi. Adesso che Ariel Sharon, da quel grande statista che ha dato prova di essere, restituisce quella Gaza che nel 1967 (guerra dei sei giorni) nemmeno l'Egitto aveva voluto e si appresta a fare lo stesso con gli insediamenti di Cisgiordania situati in zone densamente popolate da palestinesi, ebbene, anche in questo caso gli si rimprovera già di non avere fatto abbastanza, che deve fare molto, molto di più. Ma Sharon, una volta evacuate le piccole colonie, non è pensabile che possa cancellare quanto è avvenuto dal 1948 ad oggi. E' forse opportuno ricordare che se gli arabi avessere accettato la spartizione voluta dall'ONU della Palestina in due Stati- che Israele, differentemente da loro ha invece accettato- i palestinesi il loro Stato lo avrebbero, come gli ebrei, da allora. Troppo comodo tirare in ballo i campi profughi e attribuirne la reponsabilità a Israele. La Cisgiordania non è più quella del 1948 nè quella del 1967. Di questo il mondo e i palestinesi devono prenderne atto. E' questo in sostanza il senso delle parole pronunciate domenica da Sharon, mentre i buldozer cominciavano già a radere al suolo le case del Gush Katif a Gaza. Una evacuazione che in Cisgiordania non si ripeterà nello stesso modo. Non ci sarà una seconda Gaza, anche perchè è completamente diversa la situazione. Abbiamo già raccontato sabato come due insediamenti siano già vuoti, Ganim e Kadim, mentre nei prossimi giorni toccherà a Homesh e Sa-Nur, la cui evacuazione presenterà problemi molto maggiori di Gaza, vista la presenza di infiltrati forse armati e per la natura del territorio che ne ha consentito l'ingresso. Ma in Samaria e Giudea ci sono circa 250.000 israeliani, per la maggior parte stanziati in città come Ariel (con i suoi satelliti di Beit El,Shilo) oppure Ma'alè Adumim, che si può tranquillamente definire un prolungamento di Gerusalemme, c'è Alfei Menashè e altre, per le quali ormai vale la definizione diplomatica di "fatto compiuto", nel senso che sono città nel senso più completo della parola. Se le si è viste anche una solo volta si capisce bene che la sola idea di smantellamento è un non senso. Queste città, e altre simili, rimarranno dentro i confini di Israele, ha confermato Sharon. Confini che dovranno essere ridisegnati di comune accordo. I palestinesi si siedano intorno a un tavolo con gli israeliani e discutano gli assetti futuri. Sharon si è dimostrato disponibile, "Non si arriverà a una divisone in due del West Bank, le soluzioni verranno trovate" ha aggiunto. Siamo andati nei giorni scorsi a vedere la cittadina di Alfei Menashè, situata in quelli che vengono defini i "territori" , anche se è fuori dalla lnea verde di soli 2 Km. Ci vivono circa 7000 persone ( 1450 famiglie) e dall'osservatorio panoramico in cima alla collina basta un colpo d'occhio per vedere Haifa a Nord e Ashkelon a Sud. Fondata nel 1982, a guardarla oggi sembra di essere in Svizzera, ordinata, piena di viali e giardini ben curati, non un solo condominio ma solo ville massimo due piani costruite in base ad un piano urbanistico intelligente e rispettato. La richiesta di abitazioni è molto alta ed è facile capire il perchè. La qualità della vita è alta, Tel Aviv è a 20 minuti d'auto, le case costano il 30% in meno (dovuto al fatto che il destino di Alfei Menashè non è ancora sicuro in modo definitivo). Eppure questa piccola e bellissima città è l'esempio di come una soluzione possa essere trovata in un futuro molto vicino. La barriera di sicurezza la separa da Kalkilia e da Hable, due città palestinesi dalle quali partivano gli attentatori suicidi per entrare in Israele. Dopo la costruzione della barriera non più. Alfei Menashè non ha nulla dell'insediamento, è una città in nulla differente dalle altre, in più ha sempre saputo garantire ai suoi cittadini la massima sicurezza. Anche dai suoi vicini più prossimi, quelli di kalkilia. Possiamo dire, uscendo dal politicamente corretto, che i confini futuri dovranno tenere conto del fatto compiuto che già oggi separa le città palestinesi da quelle israeliane ? Per arrivare alla massima "afradà" (separazione) possibile tra arabi ed ebrei, la sola condizione che permetterà di vivere in due Stati indipendenti, non si potrà non tenere conto della realtà di oggi. L'Autorità palestinese farà bene a incominciare ad avere dimestichezza con frasi quali "scambio di territori" e, perchè no, anche "scambio di popolazioni". Sono questi gli argomenti che diventeranno presto oggetto di discussione. Nel frattempo Abu Mazen realizzi la sua quota di Road Map e smantelli i gruppi terroristi. Nel gennaio 2006 ci saranno le elezioni per rinnovare il parlamento palestinese. Chi avrà la maggioranza governerà. Hamas ha già detto come. " Non riconosceremo uno Stato chiamato Israele, continueremo la guerra perchè Israele non ha il diritto di possedere un solo pezzetto di terra palestinese, questa è la terra santa di tutti i musulmani" ha dichiarato Mahmoud Zahar in una intervista al quotidiano saudita Asharq Al-Awsat che si pubblica a Londra. Come dire che Hamas continuerà come prima. Abu Mazen farà bene a non dimenticarlo, se non vuole uscire sconfitto alle elezioni di gennaio. Non siamo più ai tempi di Arafat. Oggi, per sedersi intorno a un tavolo e discutere, occorre essere disarmati, o armati solo di buona volontà. Quel che il mondo dovrebbe capire è che ora le decisioni non sono più solo nelle mani di Sharon. Anche ai palestinesi è ora di presentare il conto. Sharon parlerà a settembre davanti all'assemblea generale delle Nazioni Unite, dove cercherà il sostegno internazionale per il suo progetto che porterà alla nascita dello Stato palestinese. Ci sarà anche Abu Mazen. Lì avrà l'ultima occasione per dimostrare al mondo intero se è lui a guidare i palestinesi. Dovrà presentarsi però con dei fatti concreti. Le parole non saranno più sufficienti. Angelo Pezzana |
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