Chi è davvero Abu Mazen, il dittatore che i media occidentali considerano 'moderato'
Analisi di Antonio Donno
Papa Bergoglio incontra Abu Mazen
Mahmoud Abbas, detto Abu Mazen, presidente dell’Autorità Palestinese, giunto a Roma, è stato intervistato dal direttore de “La Stampa”, Maurizio Molinari. Occorre subito dire che le dichiarazioni rilasciate dal presidente palestinese nulla aggiungono alle tradizionali posizioni dell’AP sulla questione della pace con Israele, tranne il rifiuto di riconoscere agli Stati Uniti di Trump il ruolo di mediatori nella disputa più che centenaria tra le due parti, prima al momento del radicamento sionista in Palestina, poi della creazione dello Stato di Israele. Ma tale rifiuto è fuori dalla realtà dei fatti. Dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, il trasferimento dell’ambasciata americana in quella città, le misure di drastica riduzione del contributo americano all’AP e, complessivamente, il nuovo, radicale atteggiamento di Washington verso la questione israelo-palestinese, è irrealistico pensare che gli Stati Uniti non debbano più svolgere il ruolo che per decenni hanno avuto nell’intera faccenda. Abu Mazen è ora in una condizione di estrema difficoltà non solo verso Washington, ma verso tutto l’arco dei paesi sunniti del Medio Oriente, benché egli, nell’intervista, affermi il contrario. Inoltre, Abu Mazen ripete per l’ennesima volta la stessa richiesta: la creazione di due Stati lungo i confini del 1967. Ciò è fuori dalla realtà, è improponibile, e il presidente palestinese lo sa bene. La sua richiesta, al contrario, rivela una posizione di intransigenza che, di fatto, impedisce qualsiasi compromesso. La situazione sul terreno è mutata dopo la fine della guerra del 1967, scatenata dagli arabi con il fine di distruggere Israele. Israele non può rinunciare ad acquisizioni che rendono più sicuri i suoi confini: l’esperienza di decenni ha insegnato di non cedere nulla alla controparte araba, che interpreterebbe la concessione come un cedimento.
Giuseppe Conte con Abu Mazen
L’altro punto riguarda le relazioni con il contesto arabo sunnita della regione. Abu Mazen resta dell’idea che l’“occupazione” israeliana continui a cementare l’unità araba contro Israele. Anche in questo caso il presidente palestinese è fuori dalla realtà. Nella sua intervista non fa alcun cenno alla mutata condizione geopolitica della regione, in cui la minaccia sciita iraniana mette a rischio la stessa sopravvivenza del mondo arabo sunnita. Di qui l’avvicinamento – sulla base di realistiche valutazioni degli interessi sovrani degli Stati sunniti – di questi ultimi agli interessi di Israele, un avvicinamento su base opportunistica, ma proprio per questo ricco di realismo politico. L’isolamento dell’Autorità Palestinese in questo nuovo contesto politico dominato dal pericolo iraniano e dalla presenza della Russia è quanto mai evidente. Ma Abu Mazen non ne fa cenno. Ancora. Abu Mazen afferma che i palestinesi hanno riconosciuto lo Stato di Israele nel 1993, in occasione degli accordi di Oslo. Ma quegli accordi erano una foglia di fico che nascondeva l’obiettivo di sfruttare la nuova posizione palestinese nel contesto internazionale per ottenere un vantaggio diplomatico e negoziale a danno di Israele. Il riconoscimento di Israele era una finzione. Mentre l’intifada del 1987 aveva tutti i connotati di un’azione terroristica, quella di Al-Aqsa del 2000 e quella più recente dei coltelli (2015) hanno dimostrato che tale riconoscimento nascondeva un obiettivo molto più ambizioso: quello di presentare all’opinione pubblica internazionale un motivo di lotta, seppur sanguinosa, che non aveva più i caratteri del terrorismo (come nel caso di Hamas), ma della giusta battaglia per i diritti dei palestinesi. Gli accordi di Oslo del 1993 sono stati un grave errore da parte di Israele. Ma, al di là di quest’ultima constatazione, Abu Mazen mente quando afferma di aver rispettato tutti gli accordi: l’intifada del 2000 e quella del 2015 lo stanno a dimostrare. Quando si solleva la questione che l’Olp potrebbe ritirare il riconoscimento di Israele, non si dice nulla di sconvolgente. Il riconoscimento di Israele è stato, fin dall’inizio, una menzogna. Ed è proprio questa menzogna a spingere oggi Israele ad agire sullo scenario mediorientale in un modo che pone la questione della pace con i palestinesi in una prospettiva diversa rispetto al passato. I negoziati diretti che Abu Mazen propugna hanno i piedi di argilla.
Antonio Donno