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La morte di Giulio Regeni 04/12/2018

Gentilissima Signora Fait, considero un grave errore definire la docente di Cambridge "la vera responsabile" della morte di Giulio Regeni. A parte il fatto che, data l'età di Regeni (28 anni al momento del suo sequestro), tanto varrebbe dire che è lui stesso il responsabile (in termini più crudi, che 'se l'è cercata'), ciò che è più grave è che si sminuisce, o si dà l'idea di assolvere o giustificare, l'atroce condotta dei suoi sequestratori, torturatori ed assassini. Non credo che, se Regeni fosse andato a compiere una ricerca universitaria in Iran e avesse subito la medesima atroce sorte, IC avrebbe scritto il medesimo commento. Analogamente non mi sono affatto piaciuti i commenti di IC sulla sparizione ed omicidio (come dichiarato dalle stesse autorità saudite verso fine ottobre) del giornalista Jamal Kashoggi. Sono per la presunzione d'innocenza (anche per il principe ereditario saudita) e capisco perfettamente le ragioni di quella che veniva chiamata la Realpolitik, ma un conto è difendere il mantenimento di rapporti diplomatici, economici, di cooperazione per la sicurezza; tutt'altra cosa è difendere l'immagine dei Governi amici fino al punto di 'relativizzare' o minimizzare omicidio e tortura. Con i più cordiali saluti ed auguri di buona festa di Hanukà,

Annalisa Ferramosca

Gentile Annalisa,
La docente di Cambridge, Mahal Abdel Rahman, è un'affiliata dei Fratelli Musulmani quindi se, come sembra, è stata lei a convincere Regeni a recarsi in Egitto per indagare sui sindacati, sicuramente non è del tutto innocente. Da subito, praticamente poche ore dopo l'assassinio dell'italiano, era stato fatto il suo nome come persona coinvolta. E' vero che Regeni era adulto e poteva pensare con la propria testa ma è altrettanto vero che a volte l'ideologia ( o forse, nel suo caso, l'idealismo) può compromettere la lucidità della mente. Per quanto riguarda Kashoggi non si tratta di relativizzare gli omicidi ma di mantenere i rapporti tessuti con abilità da Trump e da Netanyahu con un paese come l'Arabia Saudita e il suo principe ereditario, uomo di larghe vedute, quasi un miracolo inaspettato in un mondo chiuso e teocratico. Avere alleati nei paesi arabi non significa cambiare le loro tradizioni anche se pessime per noi, bensì avviare una collaborazione che potrebbe portare più tranquillità in Medio Oriente per il bene di Israele dell'Occidente. Del resto quanti giornalisti sono stati assassinati in Russia senza che nessuno rompesse i rapporti, seppur difficili, con Putin.
Un cordiale shalom


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