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La Stampa Rassegna Stampa
02.12.2018 Ecco come funziona l'Università in Israele
Alain Elkann intervista il rettore dell'Università di Tel Aviv Josepf Klafter

Testata: La Stampa
Data: 02 dicembre 2018
Pagina: 28
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Gli ingenieri creativi sono il futuro»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/12/2018, a pag.28, con il titolo "Gli ingenieri creativi sono il futuro" l'intervista di Alain Elkann al rettore dell'Università di Tel Aviv Joseph Klafter

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Alain Elkann                             Joseph Klafter

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Joseph Klafter è rettore dell’Università di Tel Aviv (Tau) dal 2009 e presidente del comitato dei rettori di Israele. È docente di fisica chimica ed è stato presidente della Israel Science Foundation (Isf), la principale istituzione a sostegno della ricerca scientifica in Israele, dal 2002 al 2009. Nel 2011 l’American Academy of Arts and Sciences lo ha nominato membro onorario.
Come descriverebbe l’Università di Tel Aviv?
«È una delle più recenti, nata dopo la fondazione dello Stato. Esiste solo dal 1956, eppure è già di gran lunga la maggiore del Paese. Abbiamo 30mila iscritti, di cui 16 mila studenti universitari e 14mila dottorandi, il che la rende una vera centrale di ricerca. Abbiamo anche 2.500 studenti stranieri. Siamo l’università più completa, poiché copriamo quasi ogni settore della ricerca e dell’insegnamento».
Quali sono le eccellenze?
«Informatica, matematica, giurisprudenza, chimica, la nostra scuola d’impresa. Sono centri di fama mondiale».
I docenti sono tutti israeliani?
«La maggior parte di origine israeliana, o immigrati ebrei che si sono trasferiti qui. Non li assumiamo fino a quando non hanno concluso il loro PhD e trascorso alcuni anni all’estero, in Usa o in Europa. Israele è un piccolo Paese (ma con 9 università), vogliamo una prova internazionale delle loro capacità. E quando li prendiamo sappiamo che sono davvero eccellenti».
Cosa ha cambiato come presidente di Tau? «Le università così come le conosciamo sono state modellate oltre 200 anni fa sulle idee di Humboldt, che ne ha definito il modello basato sulla libertà accademica e l’indipendenza dalla religione e dalla politica. Un modello guidato non dal mercato ma solo dalla ricerca. Ora è chiaro che le università devono reinventarsi. Il futuro è influenzato dalla rivoluzione digitale».
Come si fa?
«L’intera impresa universitaria deve dare agli studenti strumenti per affrontare l’ignoto. Direi che prima di tutto dobbiamo insegnare il maggior numero possibile di discipline e rendere possibile la creazione di curricula flessibili. Un esempio di cui sono molto orgoglioso è la nuova laurea che combina l’ingegneria con le discipline umanistiche. Ha già suscitato molto interesse in varie aziende che cercano ingegneri ma richiedono anche capacità creative. Società come Apple, Facebook o Google cercano ingegneri orientati al design, alla filosofia e con competenza di social network. E poi puntiamo anche sull’ apprendimento personalizzato».
Le università oggi sono meno importanti a causa di Internet e Google?
«No, ma poiché le informazioni sono molto più accessibili, il ruolo delle università deve andare nella direzione di una comprensione più profonda».
Molte università hanno corsi online adesso?
«I corsi online popolari sono un esempio di come la conoscenza possa essere trasferita da un continente all’altro. Ma significa anche che gli studenti vengono in classe principalmente per discutere e approfondire quello che apprendono, non solo per acquisire nozioni. La nostra università ha deciso di iniziare l’apprendimento accademico con questi corsi online quando gli studenti sono ancora alle superiori, in modo che inizino ad avere qualche credito accademico». Chi finanzia la vostra università?
«In Israele tutte le università sono pubbliche. Siamo finanziati dal governo, che negli ultimi anni ha sì aumentato i fondi, ma non abbastanza dal momento che il costo della ricerca è in costante crescita. Il governo fornisce circa il 70% del nostro budget. Il resto viene dalle tasse scolastiche - che sono molto basse - e da programmi speciali a pagamento. Tutto lo sviluppo dell’università, nuovi programmi, nuovi edifici, nuove attrezzature, si deve alla filantropia».
I giovani israeliani hanno un servizio militare molto lungo. Come affrontate il problema?
«Alla fine del liceo si presta servizio nell’esercito per 3-5 anni, anche di più. Ci si iscrive all’università dopo rispetto ad altri Paesi, ma è per questo che i nostri universitari hanno una visione più ampia della vita».
Pensa che l’istruzione sia l’arma più forte contro razzismo e antisemitismo?
«È un problema con diverse sfaccettature. Spero che l’educazione fin dalla tenera età funzioni, ma dobbiamo distinguere tra questo aspetto e il movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) creato dai palestinesi contro Israele. È in crescita ed è diffuso tra gli studenti universitari in tutto il mondo. Studenti che saranno i docenti di domani».
Ci sono molti studenti araboisraeliani al Tau?
«Sono il 14%. Si integrano bene e per loro abbiamo programmi speciali di tutoraggio sull’apprendimento dell’ebraico e contro l’abbandono scolastico». Siete in contatto con altre università nel mondo?
«Collaboriamo con le principali università straniere. La scienza è sempre più globale e le grandi sfide devono essere risolte cooperando».
(traduzione di Carla Reschia)

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