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Antonio Donno
Israele/USA
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Dove vanno gli Stati Uniti 30/11/2018

Dove vanno gli Stati Uniti
Commento di Antonio Donno

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Morris Fiorina

Marco Valerio Lo Prete, giornalista della RAI, ha intervistato recentemente, per Luiss Open, il politico americano Morris Fiorina, ospite, appunto, della Luiss “G. Carli”. Le sue affermazioni sull’attuale situazione americana e sulla presidenza Trump sono molto interessanti e meritano un commento. In primo luogo, Fiorina smentisce categoricamente che con Trump sia stia assistendo negli Stati Uniti ad una svolta autoritaria e razzista. Nulla di questo genere, afferma il politologo americano, è percepito dall’elettorato americano, benché molti problemi siano oggetto di discussione e controversia: normale dinamica politica in una società democratica. La questione dell’immigrazione è al centro dell’attuale dibattitto. Gli americani, sia democratici che repubblicani, non sono ostili all’immigrazione – è parte della stessa storia americana – perché porta benefici all’economia americana. Il problema vero di oggi è che gli americani sono contrari all’immigrazione illegale e alla creazione di “città santuario che schermano gli immigrati illegali”. Vorrei aggiungere a queste sacrosante affermazioni di Fiorina alcune personali considerazioni.

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Samuel Huntington

Già alcuni anni fa, esattamente nel 2004, Samuel Huntington pubblicava Who Are We? The Challenges to America's National Identity (nell’edizione italiana La nuova America. Le sfide della società multiculturale), un libro di grande attualità, ma che non ebbe la risonanza di The Clash of Civilizations, perché oscurato dalla fama di quest’ultimo e dal dibattito che aveva suscitato a livello internazionale, a cominciare dalla sua pubblicazione, 1996, ininterrottamente. In Who Are We?, Huntington poneva la questione, oggi attualissima, dell’identità degli americani, soprattutto a confronto di un’immigrazione latino-americana che aveva di fatto “latinizzato” intere aree degli Stati del Sud-Ovest degli Stati Uniti e della California, creando, appunto, conglomerati urbani quasi chiusi in se stessi, punti di riferimento degli immigrati illegali che vi venivano accolti e protetti. Ciò aveva portato, nel tempo, a una serie di problematiche che erano sfociate, tra l’altro, all’inserimento della lingua spagnola nelle scuole accanto all’inglese e a tutta un’altra serie di problemi sociali, educativi, d’integrazione. La questione che oggi Trump affronta con decisione era stata da molto tempo analizzata da Huntington; quindi, il presidente americano sta operando nel senso di impedire un’immigrazione illegale che, tra gli altri aspetti presi in considerazione da Huntington, è foriera di delinquenza. Una seconda questione posta da Fiorina è la collocazione politico-ideologica degli americani. Su molti problemi gli americani si definiscono “moderati” o “di centro”: “un’identificazione di partito è ai minimi storici”. Rilevazione molto importante, questa di Fiorina, perché tale fenomeno non è di oggi ma risale almeno all’ingresso di Nixon alla Casa Bianca nel 1969. Una mia ulteriore considerazione riguarda proprio quell’evento. Nelle elezioni del novembre 1968 si verificò un epocale movimento elettorale: gli elettori del Sud passarono in massa dal Partito Democratico al Partito Repubblicano. Il Sud vide in Nixon un più favorevole difensore dei propri interessi. Da quel momento in poi il Sud restò un base elettorale stabile per il Grand Old Party. Ma questo spostamento non fu una svolta “a destra”, ma una svolta in senso conservatore: il conservatorismo americano differisce politicamente da come noi intendiamo il conservatorismo in Europa. È una posizione moderata, “di centro”, che coniuga tradizione e liberalismo. Per quanto esistano nel Partito repubblicano posizioni estremistiche in alcuni settori marginali, esse non devono essere identificate con la politica di Trump. Ritornando al discorso di Fiorina, il politologo americano afferma che “il 40% o più degli americani oggi afferma di essere un ‘indipendente’ dal punto di vista politico”. Le elezioni del 2016, vinte da Trump, non devono essere considerate “un mutamento radicale dello spirito profondo degli americani”. Queste affermazioni di Fiorina confermano quello che ho detto in precedenza. “Indipendente” vuol dire che l’elettore americano può votare per l’uno o per l’altro partito a secondo della propria valutazione di molti fattori, primo dei quali l’operato del precedente presidente. Per quanto il Sud sia per ora stabilmente americano non si può dire che in futuro non possa ritornare al Partito Democratico, se riterrà che l’azione dei repubblicani sia stata insufficiente. L’unica parte dell’elettorato americano che deve essere considerata inamovibile è quella costituita dai liberals, legati ai propri privilegi politici e ideologici e all’attuale dominanza in seno al Partito Democratico. La vittoria di Trump è stata una “ribellione contro le élite” da parte del “common man” americano.


Antonio Donno


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