Migliaia di giornalisti sono già arrivati da tutto il mondo per seguire un avvenimento che sta mettendo la questione terrorismo in secondo piano, anche se con il terrorismo è strettamente collegato. Il progetto del governo Sharon di trasferire gli ottomila israeliani da Gaza in città all'interno dello stato ebraico, lasciando la striscia alla totale indipendenza sotto il controllo dell'Autorità palestinese, ha creato un'atmosfera che non è azzardato definire incendiaria. Per fortuna fino all'incidente di ieri non si era materializzata quella che molti avevano definito una probabile guerra civile, non si capisce se temendola o augurandosela, fatto sta che nulla di tutto ciò è accaduto. E' vero, gli israeliani che si oppongono al ritiro cercano di dimostrarlo sventolando nastri e altre stoffe dal forte colore arancione dai finestrini delle auto, mentre chi sostiene il governo fa lo stesso con il colore azzurro. Quello che preoccupa Sharon è la strategia che i " mitnachalim", i coloni, hanno messo a punto per indurre il governo a fare marcia indietro. Manifestazioni stradali a base di olio e chiodi sulle autostrade, centinaia di autobus che partendo da ogni angolo del paese diretti al confine con Gaza per dimostrare solidarietà ai coloni che sperano ancora di rovesciare il loro destino. Manifestazioni controllate e in parte proibite perchè in grado di impedire il mantenimento dell'ordine pubblico in un momento in cui è fondamentale che Tzahal, l'esercito di difesa israeliano, non perda la calma e il controllo dell'evacuazione di Gaza. Migliaia di manifestanti potrebbero portare disordine e violenza. Non che i coloni lo siano, la stragrande maggioranza ha accettato le compensazioni governative ed è pronta a trasferirsi, ma lasciare casa e attività dopo che tre generazioni hanno dedicato amore e duro lavoro verso una terra che hanno curato e coltivato, non può che suscitare una giusta comprensione. Certo, fra i coloni ci sono svitati e provocatori, ma sono una esigua minoranza, anche se capace come si è visto di gesti pericolosi. Diversamente che in Europa, dove a stracciarsi le vesti per i pericoli che le nostre democrazie correrebbero con le leggi più severe contro il terrorismo sono in genere le sinistre cattopacifiste, qui in Israele a lanciare grida di pericolo simili è la destra che non ha capito quanto pericoloso sia diventato il sogno di una grande Israele, tanto grande da contenere fra i suoi cittadini qualche milione di arabi che in breve tempo, massimo 40 anni, diventerebbero maggioranza, distruggendo con la sola forza dei numeri sia lo stato ebraico che la democrazia che lo governa. Due buoni motivi per il ritiro La non dimenticata profezia dello sceicco Yassin, il defunto capo di Hamas, entrato fra i primi nelle eliminazioni mirate attuate da Israele, ci ricorda che più che le armi saranno i ventri delle donne palestinesi a capovolgere la situazione. Certo, diceva il buon sceicco, continuate ad ammazzare ebrei, ma con una natalità da 5 a 2, entro il 2050 la maggioranza sarà araba. Uno stato palestinese è indispensabile almeno per due motivi. Il primo per poter uscire dal pantano dell'occupazione. Che lo si voglia a no, il mondo non ha mai riconosciuto a Israele il diritto di difendersi dal terrorismo con la scusa che occupava territori palestinesi. Il secondo, persino più importante del precedente, è il mantenimento del carattere ebraico di Israele, perlappunto lo stato degli ebrei. Nella loro millenaria storia hanno conosciuto troppe persecuzioni per non aver capito che senza uno stato possono essere alla mercè di qualunque destino. E hanno capito quanto debbano poter contare, sempre, solo sulle loro forze.