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La Stampa Rassegna Stampa
18.11.2018 1938: leggi razziali, il silenzio dei giuristi
80 anni fa, i criminali con la toga

Testata: La Stampa
Data: 18 novembre 2018
Pagina: 22
Autore: Giuliano Amato-Piero Guido Alpa
Titolo: «1938, il silenzio dei giuristi-Troppi contraddissero al loro compito essenziale:la difesa dei diritti»

 Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/11/2018, a pag.22/23, due servizi sugli 80 anni dall leggi razziali, " 1938, il silenzio dei giuristi" di Giuliano Amato, "Troppi contraddissero al loro compito essenziale:la difesa dei diritti" di Piero Guido Alpa

 Introduzione

Risultati immagini per leggi razziali 1938

La promulgazione delle leggi razziali, nel 1938, fu accolta quasi senza reazioni, con un atteggiamento di sostanziale indifferenza dalla comunità dei giuristi. A questo tema è dedicato il convegno in programma oggi alle ore 15 nell’aula magna del Palazzo di Giustizia di Genova, con le relazioni di Giuliano Amato (due volte presidente del Consiglio, giudice costituzionale e professore emerito alla Sapienza di Roma) e di Piero Guido Alpa (ordinario di Diritto civile alla Sapienza, presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 2004 al 2015), di cui anticipiamo una sintesi. I lavori saranno preceduti dalla apposizione nel Cortile del Palazzo di Giustizia di una targa commemorativa dei sedici avvocati ebrei genovesi cancellati dall’Albo in applicazione delle leggi razziali il 9 ottobre 1939

1938, Il silenzio dei giuristi, sulle leggi razziali 'soverchia pavididità'  di Giuliano Amato

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Q uando ci occupiamo della tragedia delle leggi razziali, gli ingredienti che la segnano sono purtroppo sempre gli stessi: da un lato la strategia della persecuzione, nei suoi presupposti, nelle sue modalità, nei suoi fini. Dall’altro gli effetti e le reazioni che essa provoca, da quelle dei contemporanei a quelle di chi verrà dopo. Pur preceduto da tanti minacciosi segnali nel corso degli anni - non tanto quelli della storia plurisecolare, ma, più da vicino, la virulenza della Civiltà Cattolica di fine Ottocento, gli scritti sulla razza dei primi Anni Trenta e poi, soprattutto, la vicenda coloniale (che aveva introdotto nella legislazione la difesa della razza bianca) - l’arrivo di quelle leggi, preceduto in rapida sequenza dal Manifesto sulla razza, parve a molti ebrei italiani un fulmine inatteso. Il regime aveva definito il loro trattamento nelle discipline post concordatarie, la vita si era assestata su quei binari al punto che tanti di loro erano diventati fascisti o comunque estimatori del fascismo. Fu difficile perciò capire tanta sudditanza alla Germania e il bisogno, in un tempo che per il regime non era ancora amaro, di un capro espiatorio, il solito. Certo si è che il Manifesto, il 5 agosto 1938, già precisa che gli ebrei non appartengono alla razza ariano-italica. Poi i decreti legge e le leggi che tra il settembre e il novembre di quell’anno e poi sino al giugno 1939 smantellano la vita degli ebrei: esclusione dalla scuola, dalle professioni e dagli impieghi, dalla proprietà, dal matrimonio, sino ai limiti alla capacità previsti in via generale dall’articolo 1 del nuovo Codice civile. Ne esce una spoliazione di diritti e facoltà, che non ha paragone nelle discriminazioni a cui altri erano stati e continueranno a essere assoggettati, si tratti di donne, di persone di colore, di stranieri immigrati. Nel caso degli ebrei vale a portare alla eliminazione. La privazione dei diritti, che prepara la privazione delle vite (come dirà anche la Corte Costituzionale in una sua sentenza del 1998, la n. 268). Nonostante questa sconvolgente enormità, l’accoglienza dei giuristi fu molto più prossima alla «soverchia pavidità» di cui poi parlò uno che pavido internazionale e delle Costituzioni nazionali. La nostra Corte Costituzionale, non diversamente da quella spagnola, ha affermato l’esistenza di un «nucleo irrinunciabile del diritto alla salute, come ambito inviolabile della dignità, da riconoscersi anche agli stranieri, qualunque sia loro posizione rispetto alle norme riguardanti l’ingresso o il soggiorno dello Stato». Do grande importanza alle ragioni della sicurezza e so bene quali conseguenze provochi in tanta gente il sentirsene privi, mentre intorno arrivano sempre più sconosciuti, che parlano lingue diverse, che hanno abitudini diverse e che a volte praticano anche la violenza. La diffidenza cresce, la stessa xenofobia cresce. Ma tutto dipende dall’uso politico che se ne fa. La si può mettere sotto controllo, mettendo sotto controllo i flussi di ingresso, combattendo la criminalità e garantendo i diritti e le giuste protezioni di tutti, ma riaffermando così nello stesso tempo i principi della nostra civiltà. Oppure uscendosene, nel medesimo clima di ostilità e di paura, come fece Azzariti: mettiamo in soffitta questi dogmi. Ancora una volta, nonostante i decenni di Carte dei diritti che abbiamo alle spalle, il lato oscuro di Camelot tornerebbe alla luce. Non è successo, ancora, ma potrebbe succedere. Non facciamo come allora. Non sarebbe consentito, non sarebbe perdonabile.

Troppi contraddissero al loro compito essenziale:la difesa dei diritti di Piero Guido Alpa
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Piero Guido Alpa

Nel 2007, nel corso di un intervento di restauro della sala detta «del Parlamentino» al ministero della Giustizia, nella quale il Consiglio nazionale forense celebra le udienze relative ai ricorsi degli avvocati sanzionati dagli Ordini per violazioni del codice deontologico, gli operai aprirono uno stipetto e rinvenirono alcuni fascicoli riportanti la scritta: «Ricorsi degli avvocati ebrei». Non si è mai saputo perché questi fascicoli fossero conservati separatamente rispetto all’archivio del Consiglio nazionale forense e perché fossero stati tenuti sotto chiave. Da questo ritrovamento, dall’analisi dei fascicoli, e dalle ricerche che da quel momento il Cnf iniziò a svolgere si è avviata una riflessione sui fatti storici che portarono alla cancellazione degli avvocati ebrei dall’albo degli Ordini forensi. Il Cnf ospitò nel 2010 una mostra itinerante proveniente dalla Germania su: «Gli avvocati senza diritti», che riguardava il destino degli avvocati ebrei dopo il 1933, le leggi di Norimberga del 1935 e le ulteriori restrizioni introdotte nel 1938. Organizzò anche una serie di seminari, in collaborazione con gli Ordini forensi, con l’Unione delle Comunità israelitiche e con la Comunità israelitica romana, per raccogliere le delibere di cancellazione degli Ordini, documenti e testimonianze degli avvocati ebrei sopravvissuti e delle loro famiglie, e pubblicò testi e materiali per far conoscere - meglio di quanto fino ad allora non avessero raccontato gli storici - la tragica vicenda che aveva colpito gli avvocati ebrei, le loro famiglie, i loro dipendenti e i loro assistiti a seguito delle leggi razziali, in particolare del decreto legge 2 agosto 1939, che collocava gli avvocati ebrei in albi speciali e consentiva loro di esercitare la professione solo a favore di cittadini ebrei. I provvedimenti erano conseguenti alle persecuzioni già iniziate in Italia, alimentate da altre gravissime iniziative come il Manifesto della razza, la fondazione di riviste razziste anche di contenuto giuridico, l’istituzione del Tribunale della razza, e altre ancora. L’iniziativa civile di sottrar re all’oblio questa vergognosa e tragica vicenda si è diffusa presso gli Ordini territoriali, con manifestazioni a Pisa, Firenze, Torino, Rovereto, e con diversi incontri e con la pubblicazioni di testi. Per i giuristi l’argomento è particolarmente coinvolgente perché la gran parte di essi all’epoca dei fatti rimasero silenti, contraddicendo la loro funzione essenziale, consistente nella difesa dei diritti. Altri giuristi dell’epoca, sostenitori o fiancheggiatori del regime, addirittura misero a disposizione la loro competenza per redigere i testi persecutori o svolgere le loro funzioni di magistrati e dipendenti pubblici ligi alle prescrizioni discriminatorie. In particolare, l’approvazione del primo libro del Codice civile (ancora oggi vigente, seppur emendato) fu rinviata alla fine del 1938 per disposizione del ministro Guardasigilli in carica, lo storico del diritto Arrigo Solmi, per poter dare ingresso nel testo alle prime leggi razziali (a partire dal Regio decreto 5 settembre 1938) e coordinare così la disciplina della capacità giuridica (articolo 1) con le limitazioni dettate dalla legislazione speciale. Le norme rimasero in vigore fino al 1944 nel Regno del Sud e fino al 1945 nella Repubblica Sociale Italiana. Ancora oggi il Codice civile reca il marchio dell’infamia: sono i puntini di sospensione che alcomma 3 dell’articolo 1 ricordano la prescrizione abrogata con cui si limitava la capacità giuridica, cioè la idoneità a essere titolari di diritti e di doveri, di coloro che appartenevano a «razze» diverse da quella ariana, che doveva essere geneticamente preservata. Gli ebrei italiani, perseguitati nel corso di millenni di storia, emancipati dallo Stato albertino nel 1848, «assimilati» nella società civile, nelle professioni, nelle cariche dello Stato, nelle scuole e nelle università, avrebbero ritrovato la loro piena capacità solo con i decreti luogotenenziali che abrogavano le leggi razziali, e con una esplicita tutela nella Costituzione repubblicana, all’articolo 22, ove si precisa testualmente che «nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Ricordare quella tragica vicenda è un dovere civico per ciascun italiano, ma è anche un monito per tutti - specie in tempi nei quali si registrano rigurgiti di antisemitismo - perché non si possa ricostituire un clima di odio e di discriminazione. Ed è particolarmente significativo per i giuristi, perché il diritto non sia strumento di sopraffazione ma possa servire a difendere i valori fondamentali della persona sui quali riposa la società civile.

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