Oggi riapre a Gerusalemme Yad Vashem, il Museo della Shoah, letteralmente "il Monumento e il Nome", così come Israele ha voluto chiamare quella collina sul Monte Herzl che custodisce il ricordo della distruzione nazista di sei milioni di suoi figli. La volontà di costruirlo si affermò sin dai primi anni del rinato Stato ebraico, per arrivare alla sua apertura nel 1953. Da allora è stato visitato da milioni di persone, ebrei e non, per mantenere vivo il ricordo delle vittime e per onorare quanti al male riuscirono a resistere, combattendo una battaglia impari e disperata. In quegli anni parlare di Shoah non era impresa facile nè comune. Per lungo tempo Yad Vashem è stato la testimonianza quasi solitaria dell'immenso massacro degli ebrei d'Europa, una realtà che la "civile" Europa avrebbe preferito ignorare, relegandola fra qualche pagina nei libri di scuola, quasi per cancellare un crimine che ancora oggi si fa fatica a spiegare. Yad Vashem invece l'ha raccontato, lasciando attoniti e storditi chi si aggirava in un angoscioso silenzio fra le sue sale. Da quella dove sono elencati i campi sterminio, illuminata solo da una fiamma che arde sempre in ricordo di chi in quei luoghi fu ucciso, sino ad una cronologia del terrore, da quando Hitler salì al potere nel 1933 fino alla sua caduta dodici anni dopo, ponendo fine a quell'impero che nelle pieghe mostruose della sua mente sarebbe dovuto durare mille anni. Un monumento alla distruzione di un popolo, una cronologia dove la speranza e la vita sono reali solo più nelle persone che lo percorrono. Ci sono voluti dieci anni per ripensare e riproporre Yad Vashem. Quello che oggi si inaugura è tre volte più grande e l'idea che ne sta alla base è completamente differente. Moshe Safdie, l'architetto israelo-americano che l'ha progettato, ha voluto mostrare non soltanto la Shoah, ma anche far conoscere la vita ebraica come era prima del nazismo. Immagini e scene di vita famigliare serene, strade, palazzi, caffè e ristoranti dove si svolgeva la vita quotidiana di tutti. "Ho voluto mettere accanto ai nomi degli sterminati i loro volti di quando erano vivi", ha dichiarato. Fino al momento nel quale è esplosa la follia nazista. Ci si rende conto così, attraverso più di cento proiezioni video e immagini, come un intero popolo si sia trovato improvvisamente privato di ogni diritto, della libertà e, in ultimo, della vita. Testimonianze e ricordi di sopravvissuti si mescolano con l'esposizione degli oggetti che venivano usati quotidianamente. Per raccontare,attraverso di loro, le storie di coloro cheli avevano posseduti. Nelle sezioni fotografiche ci sono le immagini degli ebrei fotografati dai soldati tedeschi come loro volevano che apparissero, vittime umiliate in attesa di essere eliminate, stereotipi di un popolo giudicato sottocategoria umana. Ma ci sono anche tutti quegli oggetti che nascevano spontaneamente dalla volontà di sopravvivenza dei prigionieri, disegni e dipinti di artisti ebrei sulla vita nei campi di sterminio, una fede nuziale miracolosamente nascosta e salvata, un nastro colorato che un bambino si era appuntato sul risvolto della giacca. Ne sono esposti più di 2500, tra lettere, diari, posate arruginite, scarpe spaiate. " Il visitatore deve rendersi conto che si trova fra reperti autentici, deve immedesimarsi in quello che vede", ha spiegato Avner Shalev, curatore del museo. E' stata anche ricostruita una strada del ghetto di Varsavia, con pietre e lampioni stradali originali. La maggior parte del museo - circa 4200 mq - è sotterranea. Procede cronologicamente attraverso le immagini dei rastrellamenti, deporatzioni, esecuzioni, senza dimenticare l'eroca rivolta del ghetto di Varsavia, fino alla Sala dei Nomi, un enorme cono di vetro e zinco sospeso nel vuoto e foderato con i volti e i nomi delle vittime. I visitatori si muovono come avvolti in una atmosfera claustrofobica, che l'architetto Safdie ha ritenuto indipensabile per poter partecipare con la mente e il cuore quello che gli occhi vedevano. La stessa terribile impressione che si prova entrando nel Memoriale dei Bambini, che ricorda il milione e mezzo di piccoli ebrei uccisi. Yad Vashem termina con le immagini che ricordano la nascita dello Stato ebraico. Non sono mancate le voci critiche di chi si è chiesto se il nuovo museo giustificasse l'investimento di più di 50 milioni di dollari. "Noi oggi ci rivolgiamo alla terza e quarta generazione dopo la Shoah, mentre si fanno sempre più rare le testimonianze dei sopravvissuti. Dovevamo dotarci di uno strumento capace di raggiungere l'interesse di un pubblico giovane e quindi bisognoso di strumenti nuovi e raffinati", spiega il direttore Avener Shalev, che ci ricorda anche come non soltanto la morte ma anche la vita dei sei milioni di uccisi meriti di essere raccontata. A questo provvedono le migliaia di documenti esposti e consultabili, che ricostruiscono attraverso le testimonianze quale è stata la vita e la morte degli ebrei d'Europa in quegli anni. Aushwitz, Sobibor, Treblinka, Maidanek, passano davanti agli occhi sbarrati del visitatore così come la tranquilla e ridente Wannsee vicino a Berlino, dove Hitler,Heydrich e Eichmann definirono la "soluzione finale".
"Dopo la morte la vita torna a prevalere", dice Moshe Safdie, quasi a voler spiegare come mai il percorso termina con una apertura su una foresta di pini davanti ad una vista spettacolare di Gerusalemme. Dopo il nero che ha avvolto avvenimenti terribili, si ritorna alla luce del presente, alla vita appunto.
Dal maggio 1948 Israele ha messo fine alla libera caccia e uccisione dell'ebreo che durava da duemila anni. |