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Informazione Corretta Rassegna Stampa
17.11.2018 Guerra, deterrenza e resa al terrorismo
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 17 novembre 2018
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «Guerra, deterrenza e resa al terrorismo»

Guerra, deterrenza e resa al terrorismo
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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 Vincere una guerra dipende da due fattori principali: il primo è reale, tangibile e misurabile e lo si ottiene distruggendo o paralizzando la capacità militare del nemico; il secondo è immaginario, emotivo e psicologico, e richiede di convincere il nemico che è stato sconfitto, così che non gli resti altra scelta se non quella di abbandonare completamente qualsiasi voglia di tornare al combattimento. Il primo fattore è una condizione necessaria per l'esistenza del secondo, perché finché un nemico ha il potere militare e la capacità di farne uso, non rinuncerà a combattere. Una volta raggiunto il primo fattore, è probabile che seguirà il secondo, quello psicologico, ma non necessariamente è così, perché anche un nemico militarmente sconfitto potrebbe proseguire gli sforzi per ricostruire il proprio esercito e riprendere le ostilità. La pace è possibile solo dopo che entrambi gli obiettivi della guerra sono stati raggiunti: totale distruzione del potere militare del nemico e un completo cambiamento nel suo stato psicologico. L'esempio più lampante è la sconfitta della Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il problema è che per raggiungere la pace sulla falsariga di quella concordata dalla Germania e dai suoi alleati, è inevitabile una guerra vera e propria, che distrugga componenti significative delle forze nemiche, ma anche parte della sua popolazione, danneggi l’economia e le infrastrutture del Paese.

La deterrenza
Proprio per evitare questo tipo di guerra e il prezzo che entrambe le parti dovrebbero pagare combattendo, il mondo ha sviluppato la teoria della deterrenza : per prevenire una guerra, non devi distruggere il nemico, la sua economia e le sue infrastrutture, ma devi paralizzare il suo programma di colpirti e ill prezzo elevato che dovrà pagare per qualsiasi azione contro di te.
La deterrenza fornisce una pace effettiva, con tutti i benefici che essa comporta, senza doversi impegnare a condurre una guerra e dover subire perdite umane.

La deterrenza, tuttavia, è uno stato mentale, e ogni stato psicologico è soggetto ad un cambiamento nel momento in cui si alterano le condizioni che lo causano. L'effetto più deleterio della deterrenza è quando l’altra parte perde potere e pericolosità agli occhi del nemico, soprattutto se mostra di aver perso la capacità di usare il proprio potere. Questa è una situazione molto pericolosa, perché la parte che una volta era soggetta a deterrenza può decidere di tornare sul campo di battaglia e usare l'intero arsenale di armi contro il suo avversario che ormai non gli fa più paura.

Il cambiamento
Nel corso degli anni i comportamenti militari israeliani hanno subito cambiamenti importanti. Fino alla Prima Guerra del Libano nel 1982, la linea israeliana imponeva di sconfiggere il nemico e di eliminarne la volontà di combattere, per poi impegnarsi in negoziati di pace da una posizione di potere tale da costringere il nemico ad accettare le condizioni imposte. Da quel momento in poi, Israele ha cambiato mentalità e la dottrina di una vittoria decisiva si è trasformata in una dottrina di deterrenza, basata sulla tecnologia militare avanzata che Israele può sfruttare nelle sue operazioni, insieme alla capacità ed all’ intenzione di usare questa tecnologia per tutto il tempo necessario.
I leader di Israele non vogliono essere responsabili dei funerali dei propri soldati e sono disposti a fare qualsiasi cosa pur di evitare la guerra - e questo significa accontentarsi della deterrenza. Ai politici israeliani, la pace firmata tra Israele, Egitto e Giordania serve come prova per giustificare questo approccio, perché si ritiene generalmente che questi due Stati arabi abbiano firmato gli accordi come risultato di un cambiamento nella loro attitudine mentale riguardo allo Stato ebraico, portandoli a credere che Israele sia troppo forte perché loro lo possano distruggerlo sul campo di battaglia.
Nessun israeliano pensa che questa pace continua ad esistere per un grande amore che gli egiziani e i giordani hanno per Israele, ma perché i due Stati arabi temono il prezzo elevato che dovrebbero pagare violando gli accordi stipulati.

Gaza
Anche la guerra condotta da Israele contro Hamas ha le stesse due componenti: Hamas e le altre organizzazioni terroristiche nella Striscia di Gaza hanno a disposizione un enorme e variegato arsenale di armi, alcune delle quali fabbricate nelle migliori fabbriche di munizioni del mondo. Una di queste armi è il Kornet russo, il missile anticarro che questa settimana ha colpito un autobus, trasformandolo in una rovina fumante e ferendo un soldato.
Altre sono di fabbricazione locale e meno efficienti; a volte feriscono quelli che le imbracciano invece di colpire gli obiettivi. Le organizzazioni terroristiche di Gaza hanno vari tipi di armi da guerra, dai tunnel agli aquiloni e ai palloncini incendiari. È quasi certo che finché questi gruppi avranno armi di qualsiasi tipo, le useranno.
La posizione di Israele su Gaza non è in realtà diversa in linea di principio da quella di  Egitto e Giordania, perché l'opinione pubblica israeliana crede che la deterrenza sia sufficiente per portare Hamas, il potere dominante a Gaza, ad accettare la stessa fredda ma funzionale pace che Israele ha con gli altri due Stati.
Dalla metà del 2007, quando i terroristi di Hamas hanno preso Gaza con la forza, Israele ha cercato di raggiungere un livello di deterrenza che potesse riuscire a raggiungere l'obiettivo. Lo ha fatto con l'eliminazione mirata dei leader di Hamas (Sheikh Ahmed Yassin, Salah Shchada, Ahmed Aljabri, per esempio), distruggendo i tunnel, bombardando obiettivi specifici, ma non ha mai deciso di distruggere il movimento stesso e porre fine al suo dominio sulla Striscia, accettando in realtà la sua esistenza e cercando di dissuaderlo dall'attaccare Israele.
A prima vista, questo sembrava l'approccio giusto, dato che Hamas non ha intenzione di lasciare Gaza, dove il suo controllo civile e militare è abbastanza forte e radicato, da convincere i migliori servizi segreti e di intelligence israeliani che "non c'è niente da fare ", che "la guerra non può eliminare il terrorismo " e quindi che" non abbiamo alcuna intenzione di combattere una guerra in cui molti dei nostri figli andranno a morire solo per riportare l'OLP a Gaza ".
Il problema è che non appena un israeliano fa queste affermazioni, incoraggia i terroristi di Hamas a credere che Israele sia debole e impossibilitato ad usare la sua potenza perché ha perso la volontà di usare le armi all'avanguardia che possiede.
La sensazione che Israele sia debole e abbia abbandonato capacità  di volerlo usare  è il carburante che mantiene vivi i fuochi della Jihad e la fiorente ideologia terrorista a Gaza. Esattamente quel che è successo questa settimana: martedì e mercoledì i terroristi di Hamas hanno lanciato più di 400 razzi e colpi di mortaio sul territorio israeliano. Che cosa avrebbe fatto il Regno Unito se fossero stati lanciati 400 missili contro i suoi civili? Ma anche un solo razzo? Che cosa avrebbe fatto la Francia contro chi avesse osato lanciare un singolo razzo sul suo territorio? Cosa farebbe un qualsiasi Presidente degli Stati Uniti nei confronti del Messico se avesse il coraggio di lanciare un colpo di mortaio in America?

Israele, che aveva cominciato ad agire in modo deciso contro gli obiettivi e i leader di Hamas, al fine di fermare la macchina da guerra che potrebbe distruggerlo completamente, ha deciso di smettere di sparare e ha proclamato un cessate il fuoco. Israele si è lasciato trainare dall’ingranaggio ed è caduto in trappola, lasciando che Hamas diventasse l'unico soggetto a decidere quando deve essere intrapresa la guerra contro Israele, la sua durata, quanto deve durare e quando finirà.
Un'organizzazione terroristica ora detta ad uno Stato forte le condizioni per un cessate il fuoco, e nel bel mezzo di questo scenario assurdo, un governo indeciso deve decidere che cosa fare con Hamas.

Qatar e Iran
C'è da meravigliarsi che questo governo abbia addirittura accettato che un Paese ostile come il Qatar, un sostenitore del terrorismo attraverso finanziamenti e sostegno politico per ogni movimento jihadista sunnita, possa trasferire decine di milioni di dollari in contanti a favore di Hamas per ungere le ruote, per poter pagare il personale e migliorare la sua capacità di resistere a Israele e dettare i termini per un cessate il fuoco?
La cosa peggiore è che il denaro del Qatar viene trasferito sotto sollecitazione dell'Iran. i cui governanti, al momento alle prese con severe sanzioni economiche, non vogliono la pace e la tranquillità tra Israele e Gaza.
Al contrario, vogliono che il fumo salga da una guerra tra Israele e Gaza per distogliere l'attenzione dei media dall'Iran e dall’ "accordo" che ha concesso agli ayatollah 150 milioni di dollari in contanti con cui distruggere il Medio Oriente.
Il Qatar, da lungo tempo sostenitore del terrorismo, portato avanti da organizzazioni la cui ideologia è legata alla Fratellanza Musulmana, appoggia pubblicamente Hamas. Ha, per la maggior parte, costruito l'infrastruttura, compresa quella militare, per il raggiungimento di uno Stato di Hamas a Gaza.
Il canale dei media jihadisti del Qatar, Al Jazeera, trasmette 24 ore su 24 e funge da braccio di propaganda del Qatar contro Israele.
L'assurda situazione in cui Israele consente al Qatar di finanziare i terroristi di Hamas, cedendo ai dettami di questa organizzazione terroristica, porterà sicuramente a rafforzare i partiti di destra di Israele, che deve affrontare la questione esistenziale: "essere o non essere".


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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