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'' Se mi dichiarassi gay in Senegal rischierei da uno a cinque anni di
carcere'', ha dichiarato Mohammed, il giovane senegalese che a Torino e'
riuscito finalmente a ottenere il permesso di soggiorno dopo che la sentenza
del giudice di pace Giuliana Bologna gli aveva riconosciuto i benefici della
legge Bossi-Fini sull'immigrazione.
Mohammed non verra' piu' rimandato in Senegal, dove essere omosessuale
comporta pene gravissime. Potra' costruirsi una vita legittima nel nostro
paese, dove da tempo ha un compagno italiano. La sua vera identita' e'
rimasta pero' nascosta. perche', come ha dichiarato, con i suoi connazionali
ha condiviso casa e lavoro, ma niente di piu'. Se sapessero che e' gay
potrebbero denunciarlo in Senegal, dove anche la sua famiglia verrebbe
incriminata per '' non averlo saputo educare'', arrivando addirittura a
ripudiarlo. Vicino a Torino ha dei parenti, che pero',per gli stessi motivi,
non devono sapere nulla della sua condizione. Per chi conosce la realta' dei
paesi islamici nei confronti delle donne e degli omosessuali la notizia non
e' certo nuova. Purtroppo gran parte dell'opinione pubblica italiana,
avvolta com'e' in una keffiah soffocante, e' troppo impegnata a sostenere i
''resistenti'' iracheni contro gli ''occupanti'' anglo-americani e a fare
distinzioni fra ''guerriglieri'' e terroristi per accorgersi di quel che
avviene nei paesi islamici, nei quali parole come diritti civili non hanno
alcun significato. Mohammed deve averlo spiegato fin nei particolari al
giudice di pace. A Dakar bastava essere vestiti in modo strano o essere un
po' effeminati per essere picchiati a morte. Il pregiudizio e' diffuso a
tutti livelli, ha dichiarato, e diventa ancora piu' forte fra gli immigrati.
Eppure in Italia non manca certo l'informazione dai paesi arabi musulmani.
Almeno dalla prima guerra del golfo quindici anni fa siamo stati inondati di
servizi dal medio oriente, peccato che fossero in gran parte favorevoli nei
confronti di una ''grande civilta'', messa a rischio dai cattivi capitalisti
occidentali. Ne' Lilli Gruber, ne' Giulietto Chiesa - tanto per citarne due-
si sono mai presi la briga di andare a toccare con mano come venivano
considerati i diritti civili in Iraq quandi regnava Saddam Hussein.
Avrebbero dovuto squarciare i veli e scoprire una realta' nascosta e scomoda
da raccontare. Molto meglio criticare le ''forze d'occupazione'', non si
corrono pericoli e si puo' sempre guadagnare un seggio al parlamento
europeo. Lo stesso avviene all'interno del movimento gay, troppo impegnato a
sfilare con i gruppi no global per la Palestina libera, e non essersi
accorti che sotto la quarantennale dittatura di Arafat i Mohammed
omosessuali hanno sempre cercato scampo nel confinante Israele, dove la
democrazia dello Stato ebraico non ha mai discriminato i suoi cittadini gay.
Avendo negli occhi la trave Arafat non si sono mai accorti che sotto il
raiss gli omosessuali venivano picchiati, incarcerati, uccisi. Ma questa e'
la tragedia della sinistra italiana, costretta dalla obbedienza ideologica a
non vedere la realta', a travisarla, nasconderla. Il caso Mohammed servira'
di lezione ? Ne dubitiamo, se dobbiamo trarre una lezione dall'ossessione
antiamericana che tuttore la pervade. Un'ossessione che poi non e' altro che
il rifiuto della modernita'. Da questo forse l'attrazione verso societa' che
definire arretrate e' poco. Una cecita' che per ora non aiuta chi lotta per
affermare quei diritti civili negati ai tanti Mohammed musulmani che finora
dalle sinistre progressiste occidentali hanno solo ottenuto silenzi e porte
chiuse.
Dopo la scandalosa sentenza del giudice Forleo a Milano, fa piacere che un
altro giudice a Torino abbia emesso una sentenza equilibrata. Che poi la
storia di Mohammed apra gli occhi a chi li vuole tenere chiusi e' un altro
discorso. |
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