Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/11/2018, a pag.27 con il titolo "Chagall fiabesco ad Asti" il commento di Elena Loewenthal.
Elena Loewenthal
C’è già tutto Marc Chagall nelle tavole che il pittore preparò nel 1927 per illustrare le fiabe di La Fontaine su commissione dell’editore Ambroise Vollard, con cui si apre la grande mostra a Palazzo Mazzetti, ad Asti, visitabile fino al 3 febbraio 2019: «Marc Chagall. Colore e Magia». Le fiabe della prima sala sono solo l’inizio di un grande viaggio nella fantasia e nei colori di un artista che come pochi altri ha saputo arrivare - e in fondo tornare alla propria - infanzia. Altro che dotte disamine critiche: «Il disegno è fermo ma sembra che si muova», è la perfetta sintesi dell’arte di Chagall nel commento una bambina di una quinta classe della scuola elementare «Baracca» di Asti davanti alla scena che raffigura la contesa fra il lupo e la volpe, con la bertuccia - che fa da giudice, appollaiata su un ramo.
C’è qualcosa di potente e gentile insieme, in tutte queste opere, nella collezione in bianco e nero delle fiabe, nelle tavole beffarde con cui nel 1926 illustra i sette peccati capitali, nelle acqueforti bibliche cui l’artista ha dato qua e là un tocco di colore, nei tanti e tutti diversi vasi di fiori, nelle acrobazie celesti dell’olio su tela, negli sposi sospesi di alcuni dipinti, nel paesaggio silenzioso della sua Vitebsk dove era nato nel 1887: «Un bel giorno (ma tutti i giorni sono belli), mentre mia madre con la pala stava infornando il pane, la afferrai per il gomito bianco di farina e le dissi: “Mamma, voglio fare il pittore”», racconta Chagall.
Marc Chagall
Il percorso espositivo s’avvia con un grande ritratto fotografico dell’artista che sorride, quasi ammicca al visitatore: come un invito ad addentrarsi nella sua straordinaria capacità di far volare forme, colori, corpi e pensieri. Anche quel viso e quella figura attirano gli sguardi dei bambini, è come se da subito si aprisse fra l’artista e loro un canale di comunicazione diretta, prima delle parole, prima del disegno. Ma la fiaba è davvero la cifra interpretativa di Marc Chagall, e lo è più che mai in questa raccolta di incisioni, disegni, dipinti. C’è nel tocco del pittore un’immediatezza che forse nessun altro artista ha mai avuto, c’è la capacità di «toccare» fisicamente chi guarda. E qui è proprio come nel film di Mary Poppins, quando fra una canzone e l’altra lei brandisce l’ombrello e invita i suoi bambini a entrare con lei dentro il quadro, per scoprire il mondo intero che c’è dentro.
Anche le tavole bibliche di Chagall ispirano la stessa atmosfera vagamente fatata, benché al posto di orsi, asini e carrettieri si trovino Mosè che apre le acque del mare, con un angelo alato che gli fa da vigile avanguardia già sull’altra sponda, dove ci sono il deserto e la libertà, il minuto Davide vittorioso sul gigante Golia, Salomone compiaciuto della propria maestà. Quelle acqueforti furono pubblicate nel 1956 a Parigi, ma il progetto risale a molti anni prima, quando nel 1930 il mercante Ambroise Vollard gli propose di illustrare i testi sacri. Da allora essi divennero per Chagall una fonte di ispirazione inesauribile, il terreno di un sogno che colora le immense vetrate dell’ospedale Hadassah a Gerusalemme, le grandi tele del «Message Biblique» nel suo museo di Nizza, e tante altre sue opere. Perché come egli stesso scrive: «la Bibbia brillava come il cielo stellato».
Di cieli stellati se ne trovano anche nella sala della mostra dedicata ad alcuni suoi dipinti «iconici», quelli che si riconoscono a colpo d’occhio perché c’è qualcuno o qualcosa sospeso per aria: Vitebsk, il circo, gli sposi sospesi nell’aria, sotto il baldacchino nuziale. Una serie di profili dell’artista che fanno capolino qua e là. Galli rossi che flottano beati a cresta in giù. Tanti fiori dai colori diversi, dalla luce sempre diversa. La mostra di Asti offre una retrospettiva ampia in cui le opere più diverse si intrecciano a momenti della vita dell’artista, alle tante parole che ha scritto, perché Chagall amava anche scrivere, oltre che dipingere. E tutto qui ha sempre una vaga eppure ammaliante parvenza di chimera, di un sogno che prende per mano adulti ma soprattutto bambini. Come i gruppi di classe, che si spostano insolitamente silenziosi e compatti, di fiaba in fiaba, di sala in sala: a dettare l’inconsueta disciplina sono gli occhi sgranati alle prese con qualcosa che i bambini non hanno mai visto in vita loro, ma che par loro conoscere da sempre. Un’arte che trasforma il mondo intero in una specie di animato carosello. Come nelle tavole che illustrano La Fontaine, che sono in bianco e nero, ma i colori si vedono eccome, dietro il tratto di inchiostro: «Tutti i colori sono amici dei loro vicini e amanti dei loro opposti», dice Chagall. Se c’è un modo per avvicinarli all’arte, è questo contatto diretto, avvolgente.
È davvero una mostra sorprendente, piena di gioia e di stupore, di vita e di quell’amore per la vita che è sempre stata la prima, forse l’unica ispirazione dell’artista. Forse per questo i primi a capirlo, a entrare nei suoi panni, sono i bambini, come ha detto lui stesso: «Io sono solo uno tra le migliaia di bambini palpitanti».