'Israele: Sogno e realtà dello Stato ebraico', di Michael Brenner
Analisi di Antonio Donno
Michael Brenner
L’ultimo fascicolo di “Israel Studies” (3, Fall 2018) è interamente dedicato ai 70 anni di Israele. La rivista diretta da S. Ilan Troen e Natan Aridan si distingue dalla sua nascita, nel 1995, per la sua eccellente qualità scientifica, che ne fa una delle riviste più accreditate sulla storia del sionismo e dello Stato di Israele. Il fascicolo raccoglie interventi dei più importanti studiosi su questi temi, preceduti da una introduzione di Michael Brenner, autore del recente In Search of Israel: The History of an Idea, prontamente tradotto in italiano da Donzelli con il titolo Israele. Sogno e realtà di uno Stato ebraico. L’identità nazionale tra eccezione e normalità. Il fascicolo ripercorre la storia e i problemi di Israele dalla nascita sino ai nostri giorni. Non sono mancati nel passato analisi della vicenda dello Stato e, per questo motivo – scrivono i due direttori – “per lo Stato di Israele celebrare e riconsiderare se stesso è perciò un fatto che si inscrive in una tradizione ben consolidata”. Il “popolo del libro” riscrive la sua storia in continuazione, rappresentando un esempio straordinario di riscoperta di una consapevolezza storica, culturale e religiosa che è un esempio di vitalità e di rinnovamento.
La copertina (Donzelli ed.)
La sezione storica comprende articoli che riesaminano i passaggi fondamentali della storia dello Stato: la guerra dei sei giorni, gli anni cruciali 1967-1973, l’assassinio di Rabin e le elezioni del 1996, il passaggio di potere dalla sinistra alla destra, la politica di Begin e l’auto-identificazione di Israele come Stato ebraico. A quest’ultimo aspetto se ne aggiunge un altro che ha una rilevanza storica per la vita di Israele. Come afferma Eran Kaplan, uno degli autori del fascicolo, “la conquista del potere da parte del Likud segnò la fine dell’era statalista nella storia di Israele […] e l’ascesa del dominio del libero mercato (Milton Friedman fu il consigliere di Begin durante il suo primo governo)”. Lo stato, dunque, si ritirò gradualmente dalla scena pubblica, permettendo alle forze economiche e sociali di svilupparsi liberamente: “Ciò avrebbe rotto – conclude Kaplan – il monopolio della vecchia Voce di Israele (Ashkenazita, secolare e laburista) e introdotto una cacofonia di voci nella vita pubblica di Israele”. Di conseguenza, la società israeliana divenne più complessa e democratica, polifonica più che cacofonica, a differenza di quanto afferma Kaplan, perché ebbero spazio le voci dei più disparati settori che fino a quel momento erano state compresse dallo statalismo laburista. L’ascesa della destra al potere, sostanzialmente confermata sino ad oggi, ha mutato profondamente il volto di Israele, benché i pericoli esterni siano rimasti immutati per la sua sopravvivenza. Ma, nonostante questo, la società israeliana è vitale e aperta all’innovazione e perciò alla crescita, rispetto al contesto generale regionale profondamente degradato. L’immigrazione ebraica, soprattutto quella dai paesi arabi, ha costituito un problema sociale molto importante, almeno sino alla fine della guerra dei sei giorni. Tuttavia, successivamente, grazie al formidabile sviluppo dell’economia israeliana, liberata dai vincoli statalisti, l’inserimento degli immigrati si è fatto via via più consistente. Allo stesso modo, il sistema giudiziario si è andato adeguando ai processi di crescita della società e ai nuovi problemi legati ad un’economia fondata sul libero mercato. Il ruolo della legge è centrale nella vita dello Stato ebraico. Come scrive Nir Kedar, “[…] nonostante il violento conflitto nazionale interno ed esterno e benché sia uno Stato di immigrazione multiculturale, Israele è impegnato a consolidare e sviluppare la sua democrazia e il ruolo della legge”. Sul piano dei rapporti con i vicini arabi, la questione è assai più complessa: tanto complessa che la soluzione del conflitto con i palestinesi sembra non avere una soluzione, scrive Yoav Gelber. Decenni di contrasti, prima con i paesi arabi, oggi con i palestinesi non hanno portato ad alcuna sistemazione definitiva della questione. Su questo punto, il ruolo degli Stati Uniti è stato centrale, ma non per questo decisivo. Al contrario, “la mancanza di un accordo – scrive Daniel C. Kurtzer – ha rappresentato un costo per gli Stati Uniti per quanto riguarda la percezione della forza diplomatica e risolutiva americana da parte degli attori regionali e internazionali”.
Antonio Donno