Razzismo e antisemitismo
Commento di Giuliana Iurlano
Perché ancora oggi gli ebrei vengono considerati una “razza”? Il lungo percorso dell’antisemitismo risale a più di 2000 anni, quando il cristianesimo cercò di tagliare i ponti con le sue origini ebraiche per diventare una religione autonoma, prima soltanto accettata dall’Impero romano e, poi, divenuta religione di Stato a tutti gli effetti. L’incipit fu dato, dunque, grazie alla politica del disprezzo e soprattutto mediante l’accusa di “deicidio”, fino a quando non venne creato quel terreno fertile in cui l’antigiudaismo cristiano si rafforzò, ponendo le basi per il successivo antisemitismo moderno. Si trattò di un progressivo arricchimento concettuale, nel quale si aggiunsero e si stabilizzarono nuovi elementi d’accusa nei confronti dell’ebreo, ormai capro espiatorio di qualunque situazione limite e, di conseguenza, bersaglio principale dell’odio delle masse. Fu, però, in età moderna che l’antigiudaismo di matrice religiosa entrò nella sfera delle argomentazioni pseudoscientifiche sulla razza e l’ebreo si trovò, hic et nunc, catalogato come “appartenente alla razza ebraica”.
L’Europa dei Lumi aveva dato l’avvio, con gli studi antropologici, alla classificazione delle razze, finché non si era giunti all’idea dell’esistenza di razze superiori (gli “ariani”) e di razze inferiori (“negri” ed “ebrei”), anche sulla base di approcci meramente estetici, come quelli proposti da Peter Camper, che per primo elaborò il concetto di “angolo facciale”. Con Johann Kaspar Lavater, fondatore della fisiognomica, e, poi, con il frenologo Franz Joseph Gall e con Anders Retzius fu stabilito l’indice cefalico per corroborare l’idea che la razza superiore europea trovasse conferma nella bellezza e nell’armonia dei lineamenti del volto. Ma fu nella metà del XIX secolo che le teorie sulla razza si fusero con il nazionalismo imperante. Con Arthur de Gobineau compare già nettamente il dramma dell’ascesa e della caduta delle civiltà come “dramma razziale”, mentre in Francia Georges Vacher de Lapouge integra il darwinismo emergente con il razzismo, sostenendo che l’homo europeus sia di razza superiore ariana perché discendente dal genio greco. Il suo nemico razziale è costituito dalle razze inferiori, gialli, neri e soprattutto ebrei, questi ultimi, in particolare, definiti come “parassiti” insediatisi sulla razza ariana francese, senza scrupoli né valori, dediti al commercio, perché amanti della speculazione fine a se stessa. Infine, nel razzismo del XX secolo, la pseudo-razionalità della “scienza della razza”, con la sua attenzione al grave problema della “degenerazione”, si sposa con un elemento irrazionale, quello dell’idea mistica di razza, all’interno della quale gli ebrei assumono di nuovo le sembianze ataviche dell’antigiudaismo cristiano, vale a dire quelle di essere fondamentalmente “principio del male”, da contrastare e annientare a tutti i costi. Di conseguenza, quando Hitler appare sulla scena politica, trova già il piatto pronto: la sua concezione dell’ebreo non è che una sintesi di quanto già presente nella cultura europea del tempo. L’ebreo, per Hitler, è il simbolo e la realtà stessa del male nella società, è il contro-ideale sociale, la causa prima di tutti i disordini. La sua concezione – già presente nel “Mein Kampf” – è organizzata su tre livelli: il livello metafisico, per cui l’ebreo è, appunto, il principio del male assoluto (così com’è stato rivelato dai “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”), che complotta per ottenere il dominio mondiale; il livello biologico, per cui la razza ebraica è l’anti-razza”, non umana per natura, incapace di produzioni culturali superiori e impegnata da sempre ad “accaparrarsi” ciò che le razze superiori hanno prodotto, vivendo a loro spese come un parassita sociale; il livello microbico, per cui la razza ebraica è un vero e proprio focolaio di infezioni per la società, un bacillo, un virus nell’organismo sociale, propagatore di malattie, lordure e impurità. L’uso del Zyclon B nelle camere a gas è una conseguenza dell’idea di “disinfestazione” che avrebbe dovuto essere realizzata nello sterminio degli ebrei. Da tale concezione, sarebbe derivata l’intera legislazione “razziale” antiebraica sia in Germania, che in Italia. L’ebraismo, dunque, da prima religione monoteista in assoluto si è trasformato gradualmente in una razza inferiore: in questo allucinante percorso che ha portato allo sterminio di 6 milioni di ebrei nelle camere a gas, la religione serviva per “snidare” l’ebreo nascosto, così come serviva la stella gialla per identificarlo, visto che non era poi così riconoscibile come le altre razze inferiori. Ma, oggi, è ancora giusto usare il termine “razzismo” – estrapolato dal suo contesto storico – per parlare di antisemitismo? Non sarebbe meglio distinguere apertamente il fenomeno antico dell’antisemitismo dal razzismo tout court? Sicuramente, così si contribuirebbe a fare chiarezza sulla verità storica, senza confusioni o tentativi maldestri di appiattire sul concetto di “razzismo” un problema che ancora esiste e che si sta allargando a macchia d’olio.
Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento. Collabora a Informazione Corretta