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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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E ora la parola ad Abu Mazen 11-01-05
Abu Mazen ha vinto, Aabu Mazen e' l'erede di Arafat. Questi i titoli di gran parte dei nostri giornali ieri. Noi, che l'abbiamo seguito nella sua campagna elettorale, certamente non priva di pericoli, gli auguriamo di disfarsi al piu' presto di quell'eredita', se vuole sinceramente voltare pagina. Anche se Repubblica titolava ieri in prima pagina '' E ora la parola a Bush e Sharon'', tanto per non smentire la linea del giornale dell'ing.de Benedetti, Abu Mazen deve sapere che invece le prossime mosse toccheranno a lui. Dovra' concretizzare la prassi democratica delle elezioni, allargandola a tutto il sistema politico-amministrativo dell'Autorita' palestinese. La maggioranza del suo popolo l'ha votato proprio perche' dicesse un bel no alla politica che Arafat aveva imposto con il pugno di ferro, generando abissali corruzioni e una dittatura spietata che ha istituzionalizzato i metodi di Bin Laden nei territori da lui controllati. Certo, Repubblica e' in buona compagnia. Gia' domenica sulla Stampa Barbara Spinelli, nella sua omelia settimanale, per fortuna cosi' estesa da impedire anche al piu' volonteroso dei lettori di arrivare alla fine, aveva sostenuto la sostanziale eguaglianza tra democrazia e terrorismo, mettendo Sharon e Bush sullo stesso piano di Arafat e Bin Laden. Come il presidente americano viene irriso dai ''progressisti'' quando sconfigge dittature ed esporta democrazia, identica e' l'attitudine nei confronti di Sharon. I quasi mille ''osservatori'', in gran parte europei, che hanno seguito le elezioni palestinesi, sono rimasti profondamente delusi dal non aver potuto prendere in castagna il cattivo Israele, come avevano preconizzato nelle generose interviste che i nostri media prontamente gli avevano offerto. Macche', Israele invece di boicottare - come i vari Giulietto Chiesa, Lilli Gruber, Marina Sereni e compagnia osservante avevano previsto, ha fatto di tutto perche' le prime vere elezioni palestinesi potessero avere luogo. Certo non ha smantellato i chek-point, una delle forme di difesa-sicurezza che hanno impedito ai kamikaze di portare strage in Israele, come avrebbe voluto Giulietto Chiesa, che sulla Stampa di ieri ha scritto in quale modo hanno avuto l'ardire di fermarlo mentre rientrava a Gerusalemme. Tra domenica e ieri la parola che e' stata piu' abusata sui nostri giornali, sia come speranza che come obiettivo da raggiungere, e' stata la parola pace. Facciamo allora chiarezza sui compiti e doveri che spettano alle forze in campo. Il governo israeliano ha mantenuto gli impegni previsti dalla Road Map, quando a Sharm el-Sheik nel giugno 2003 Sharon e Abu Mazen si strinsero la mano davanti a Bush. Se la Road Map non e' andata avanti ed e'sostanzialmente fallita non e' certo per colpa di Sharon. Un

particolare che in questi giorni e' mancato nella maggior parte delle analisi dei nostri esperti mediorientalisti e' stata la cacciata di Abu Mazen che la Road Map voleva realizzarla da parte di quell'icona oggi venerata che risponde al nome di Arafat, sulle prodezze del quale oggi tutti glissano per nascondere l'imbarazzo di quarant'anni di applausi. Il nodo da sciogliere e' tutto li'. Se Abu Mazen sapra' amministrare con forza e decisione il potere che il successo elettorale gli ha conferito, per prima cosa dovra' ottemperare a quella condizione che era gia' presente negli accordi di Oslo e che Arafat si era ben guardato dall'applicare, e cioe' la chiusura piu' totale e irreversibile con il terrorismo palestinese. Se ne sara' capace, da Israele otterra' la pace ed uno Stato per il suo popolo. Se si limitera' a portare la Keffiah intorno al collo invece di arrotolarsela in testa come il suo predecessore,se la differenza tra lui e Arafat sara' solo questa, allora addio speranze. In Europa (Eurabia ?) lo criticheranno in pochi, la responsabilita' di ogni fallimento verra' comunque attribuita a Israele, colpevole del sommo reato di volersi difendere dal terrorismo. Staremo a vedere. Da parte nostra gli auguri piu' sinceri.

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