Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/11/2018, a pag.33, con il titolo "La generazione Egonu più forte di tutti i tabù" il commento di Flavia Perina.
Flavia Perina
Il mondo che vorremmo, il mondo che ci piace, è un mondo che esiste già anche se non ne siamo del tutto coscienti. Ce lo ha fatto scoprire la pallavolista Paola Egonu, icona degli ultimi Mondiali femminili, in un’intervista al «Corriere della Sera» che comincia in questo modo: domanda, «Cosa ha fatto dopo la sconfitta con la Serbia?». Risposta, «Ho telefonato alla mia fidanzata, ho pianto e lei mi ha consolato». È un coming out bizzarro, anzi un non-coming out perché a Paola sembra normalissimo avere una compagna, così come giudica del tutto ordinario avere la pelle nera ed essere italiana, tanto che racconta di essersi stupita per l’insistenza nel sottolineare il carattere multietnico dell’Italvolley. «Siamo italiane, per me avere origini diverse è normale», ha spiegato, aggiungendo poi che da bambina qualche commento razzista l’ha subito, ma crescendo ha deciso di ignorarli.
Paola Egonu Matteo Salvini
La Egonu, figlia di una coppia nigeriana, è un’eccezione assoluta, un caso limite di sicurezza individuale – essere immigrata, lesbica, e parlarne con la naturalezza di chi riferisce dettagli – oppure solo una privilegiata, che grazie al suo carisma sportivo può permettersi tutto? Nulla di tutto ciò. Semplicemente ha diciannove anni e appartiene a una classe anagrafica cresciuta in un contesto molto diverso da quello dei genitori o dei nonni. Cinema, tv, musica, viaggi, amicizie, un intero immaginario collettivo, hanno formato questi ragazzi all’idea che essere gay o venire da una famiglia straniera non comporti né speciali meriti né particolari handicap. Ovvio che si stupiscano per il valore dato dagli adulti a queste cose e che rispondano «che c’è di strano?» a chi le sottolinea.
Hanno ragione loro. L’unica cosa fuori dalla norma è la sorpresa con cui l’Italia guarda e ascolta la Generazione Egonu, dimostrando di non conoscerla ma soprattutto di non tenerla nella minima considerazione come soggetto dello spazio pubblico, dove prevale un tipo di contesa sull’identità, il sesso, le pari opportunità e i diritti delle minoranze che i ragazzi hanno già superato da un pezzo, forse non hanno mai attraversato.
L’Italia vecchia, l’Italia che di recente ha visto lo storico sorpasso numerico dei sessantenni sugli Under 30, imbastisce da tempo il suo intero discorso politico intorno agli istinti e agli interessi della senilità, una senilità di provincia dove le ansie sulle pensioni (vedi manovra), i richiami all’abbigliamento dignitoso (vedi ordinanze comunali di Novara), il sospetto sul diverso (vedi mense di Lodi), le lamentele sul decoro, la ripetuta denigrazione dei giovani (bamboccioni, fannulloni, choosy) somigliano agli anatemi contro la modernità di un vecchio personaggio di Alto Gradimento, il professor Aristogitone. Quell’insegnante a riposo che si lagnava di ogni cosa – e specialmente degli «studenti delinquenti» – rimpiangendo i bei tempi di una volta, ci faceva ridere quando eravamo molto giovani, ma oggi è lecito il timore che si stia costruendo un Paese sulla sua misura: analisi di retroguardia, pregiudizi, ostilità preconcetta per tutto ciò che è contemporaneo.
Dobbiamo dunque un doppio ringraziamento a questa ragazzina della pallavolo, che non è solo un simbolo del tipo di competizione che ci piace – gioco di squadra, rigore tecnico, determinazione a superare lo svantaggio – ma anche la dimostrazione che c’è un altro mondo nascosto dietro le quinte del confronto che divide l’Italia. È minoritario, forse al momento poco influente, ma ogni tanto regala una boccata d’ossigeno a un Paese che ne ha un gran bisogno.
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