Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 30/10/2017, a pag. 23, con il titolo "Terre d'islam, mosaico ebraico", la recensione di Chiara Zappa al libro di Vittorio Robiati Bendaud "La stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell'islam" (Guerini ed.).
La copertina
Nel 1535, Costantinopoli era la più grande metropoli ebraica al mondo. I suoi cittadini giudei erano oltre 40 mila, circa il 10 per cento della popolazione totale, mentre a Salonicco costituivano la metà degli abitanti. Negli stessi anni, a Tripoli, il grande rabbino Shim'òn Labi era anche il medico personale del pashà ottomano. E non si trattava di una novità. Se è vero che, molti secoli prima dell'avvento di Maometto, le antiche accademie rabbiniche avevano stilato e redatto il Talmud in Iraq, proprio a Babilonia vennero poi fondate le prime scuole di giurisprudenza islamica una prossimità che portò a influenze reciproche determinanti. Per ottocento anni, i principali centri di studio ebraici si trovarono in terra musulmana, e la teologia da essi formulata si espresse in arabo per secoli, mutuando argomentazioni dall'islam. Basti pensare a Mosè Maimonide, personalità di spicco dell'Andalusia araba, filosofo, medico e autore di uno dei più autorevoli codici normativi ebraici di tutti i tempi, in cui recepì e applicò alcuni principi base del diritto islamico. Questi contatti spaziarono in tutte le discipline. Già durante il califfato umayyade, per esempio, un giudeo di Bassora, di nome Masarjawayh, tradusse le principali opere mediche dal siriaco all'arabo, gettando le basi della medicina arabo-islamica. E si potrebbe proseguire a lungo. «La storia ebraica è purtroppo spesso compresa e presentata come un fatto occidentale, contribuendo così a inquadrare l'ebraismo in una sfera religiosa e culturale unicamente europea o nordamericana. Si tratta di un grave errore, spesso veicolato dagli stessi ebrei. L'ebraismo invece è stato ed è, in misura almeno pari se non maggiore ancora, anche un fenomeno "orientale"».
Vittorio Robiati Bendaud
Parte da questa considerazione Vittorio Robiati Bendaud, allievo del grande rav Laras e coordinatore del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, nel suo interessante libro La stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell'islam (con nota introduttiva di Antonia Arslan; Guerini, pagine 248, euro 18,50). Lo sguardo, tuttavia, non è rivolto solo all'indietro, visto che la comprensione stessa del presente è impossibile senza gettare nuova luce su un passato che ancora resiste, spesso in forma di ferita, nella vita di un intero popolo. Racconta Bendaud: «Qualche anno fa si presentò al Tribunale rabbinico presieduto dal rabbino Laras una famiglia straniera assai particolare». Ad esporre la storia fu «una giovane, emigrata da un paese islamico, ove la sua famiglia aveva dimorato per secoli. Circa quattro generazioni prima, nella decade iniziale del XX secolo, l'intera comunità ebraica di una cittadina di quel paese musulmano fu convertita a forza all'islam; chi vi si oppose fu ucciso». Sui documenti comparivano nomi e cognomi islamici ma, nel nascondimento e per più di un secolo, la ragazza e i suoi avi avevano mantenuto la fede dei padri. «Mi ricordo che rav Laras chinò il capo e tacque, visibilmente scosso. Quando rialzò la testa, chiese con dolcezza eppur con serissima intensità alla giovane donna: "Lei è ebrea, signorina, come ben sa. Come tutta la sua famiglia del resto. Che cosa dunque chiedete a questo Tribunale?" La risposta fu: "Fare ritorno a casa"». Il libro di Bendaud ci accompagna dunque in una storia lunga e sfaccettata, cercando di tracciare un percorso alternativo alle due ricostruzioni più diffuse sulle vicende del suo popolo nel Dar al islam: quella che celebra una mitica coesistenza andalusa medievale stemperandone le serie criticità, e quella che, all'opposto, riduce il rapporto tra "Isacco e Ismaele" soltanto a incomprensione e odio. Ne emerge un mosaico, da Algeri a Samarcanda, da Gerusalemme a Fez, in cui si dipanano sprazzi di luce e oscurità, momenti di splendore e tragedie assolute, fatte di miseria, fanatismo e odio. Triste e impressionante filo conduttore resta la dhimma, lo statuto giuridico che legava l'esistenza stessa delle minoranze in terra musulmana all'accettazione incondizionata-marcata in ogni settore della vita quotidiana, dagli obblighi economici a quelli legati all'abbigliamento e al comportamento in pubblico - della superiorità religiosa e politica islamica. Sottomissione e subalternità come con dizioni perla sopravvivenza. All'interno di una ricognizione di cui è impossibile qui rendere la completezza, emergono alcuni spunti particolarmente istruttivi. A cominciare dall'evidenza che, purtroppo, l'antisemitismo musulmano si nutri ampiamente di quello cristiano. La stessa dhimma fu soltanto elaborata dall'islam, riprendendo le misure antiebraiche del cristianesimo bizantino, normate nel Codex Theodosianus del 438. Il fatto di trovarsi poi - cristiani ed ebrei nella stessa condizione di minoranze vessate, non valse sentimenti di solidarietà bensì di diffidenza e concorrenza, fino al periodo post coloniale. «Si comprende chiaramente - scrive Antonia Arslan nella nota introduttiva - come si formi e si sedimenti un poco alla volta quel pregiudizio antiebraico che tanto avrebbe pesato nella sanguinosa storia del Novecento». Il racconto si ferma all'inizio del secolo scorso, in tempo tuttavia per delineare la letale fusione tra pan-islamismo e nazismo. Con Mussolini triste precursore, che nella Libia coloniale del 1937 si era dichiarato "spada dell'islam" Vicende inscindibili dal progetto protonazionale ebraico in Eretz Israel che cominciò a prendere forma a metà dell'Ottocento e che si sviluppò nel secolo dopo anche--sottolinea Bendaud - con l'apporto del mondo giudaico mediterraneo e mediorientale. Sulle origini di Israele, dove oggi metà della popolazione discende da esuli di Paesi islamici, scrive l'autore: «Senza uno Stato, ove potessero rifugiarsi, nessuno sa quali sarebbero state le loro sorti, certo non dissimili da quelle attualmente sofferte dai cristiani d'Oriente». Ma se «l'indipendenza nazionale di Israele è costitutiva dell'ebraismo», dobbiamo avere chiaro che «ebrei e musulmani condividono ancora un destino potentemente interconnesso, per il bene comune o per la rovina di entrambi».
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