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La Stampa Rassegna Stampa
30.10.2018 Gerusalemme: la storia di una città raccontata con troppe omisssioni e ambiguità
Commento di Fernando Gentilini

Testata: La Stampa
Data: 30 ottobre 2018
Pagina: 26
Autore: Fernando Gentilini
Titolo: «La Gerusalemme che soltanto il cuore riesce a vedere»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/10/2018, a pag.26, con il titolo "La Gerusalemme che soltanto il cuore riesce a vedere", il commento di Fernando Gentilini.

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Fernando Gentilini

Un commento poetico, che però non tiene conto della verità storica. Gli arabi palestinesi non hanno alcuna rivendicazione storica su Israele, le rivendicazioni sono iniziate negli anni'60 quando, sfruttando l'antisemitismo europeo , Arafat & Co. hanno capito che potevano contare su un alleato: l'odio per gli ebrei, presente anche negli organismi internazionali.

C’è un posto, a Gerusalemme, dal quale la Città Vecchia si vede come devono vederla gli uccelli. Un balcone in pieno cielo, in cima al Monte degli Ulivi, dove i pellegrini si radunano fin dalle prime luci dell’alba. Da lassù la spianata più contesa del mondo appare a tutto tondo, sembra una scultura. Ed è uno spettacolo sublime, da far girare la testa.
Gli arabi la chiamano Haram ash-Sharif, il Nobile Recinto. Un condensato di sapienza architettonica che ha preso forma dopo la conquista del 638. Al centro la moschea di Omar, la Cupola della Roccia, a protezione della «Roccia Sacra» da cui Maometto salì in Paradiso; e all’estremità meridionale la moschea di al-Aqsa, terzo luogo santo dell’Islam dopo La Mecca e Medina.

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Gerusalemme

Colpisce l’allineamento di cupole: una dorata, immensa, le altre più piccole e nere. La prima è come un sigillo, certifica Gerusalemme. Ma le seconde sono ancora più sante, poiché rimandano direttamente al Corano: al-Aqsa vuol dire «la Lontana», e il riferimento è alla sura del Viaggio notturno di Maometto a cavallo di Burāq, creatura alata dei profeti.
È un luogo protetto la spianata, distante dal rumore della città. Sotto gli ulivi capannelli di anziani a leggere il Corano; e nello spazio aperto tra le moschee, mamme con bambini e uomini soli. Un paesaggio di quiete, davanti al quale si perde la nozione del tempo. Eppure è una quiete solo apparente, che una scintilla può trasformare in tumulto.
È un paesaggio enigmatico, che gli occhi non riescono a svelare. La parte invisibile è riposta nella Bibbia, biografia di Gerusalemme. Perché qui l’urbanistica si confonde col canone letterario: le pietre sono parole, i muri diventano frasi, le strade sono interminabili elenchi di citazioni.

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Avvenimenti prodigiosi
Per gli ebrei è la spianata del Tempio, il Monte Moria dove Salomone costruì la dimora di Dio. Il Libro dei Re lo descrive nei minimi particolari, cubito per cubito. Il vestibolo, la navata, il Santo dei Santi con l’Arca dell’Alleanza. Fu raso al suolo dai babilonesi, poi ricostruito, ampliato e distrutto ancora dalle legioni di Roma. Ma qui l’Eterno preesisteva all’altare, era adorato dall’inizio del mondo.
Fin dalla Genesi, in cima al Moria, fu un susseguirsi di avvenimenti prodigiosi. Quassù, con la polvere dai quattro angoli delle Terra, l’Onnipotente creò il primo uomo. Sempre qui, dopo Adamo, fecero offerte Caino e Abele, e poi Noè dopo il Diluvio. Quindi fu la volta di Abramo, che legò Isacco all’altare e si fermò appena in tempo.

Il Moria, per gli ebrei, è il centro del mondo in cui il basso comunica con l’alto, come nel sogno profetico di Giacobbe. Anche lui si addormentò in questo luogo, su un guanciale di pietra. E vide una scala che saliva in cielo, sulla quale danzavano e cantavano gli angeli, in una luce strabiliante che annunciava il futuro.
Di questo paesaggio biblico non resta nulla, anzi non appare più nulla. Perché i massi di pietra del Muro Occidentale risalgono al tempo di Erode il Grande. Sostenevano il Secondo Tempio, ora formano una sinagoga a cielo aperto. Gli ebrei vi pregano incessantemente, di giorno e di notte. Aspettano il Messia, il tempo che verrà. Sperano in un nuovo mondo più palese e veritiero di questo.
Sulle ragioni del conflitto tra israeliani e palestinesi ci sono almeno due verità. Per gli israeliani è una questione di vita o di morte, nel senso che c’è in ballo il loro diritto di esistere. Per i palestinesi è una controversia di tipo immobiliare, e riguarda la spartizione del fazzoletto di terra che entrambi i popoli considerano patria, cioè la Palestina storica.

Ma davanti la spianata contesa, dove insieme al mondo sono iniziati i problemi del mondo, la verità s’ingarbuglia ulteriormente, e quello tra israeliani e palestinesi diventa un conflitto tra ciò che mostrano gli occhi e ciò che si vede solo col cuore: tra l’oro, il rame e la luce riflessa della Cupola della Roccia e la memoria del Tempio perduto che è custodita nel Libro dei Libri.
«L’essenziale è invisibile agli occhi» dicono i poeti. Ed è una frase da ripetere come un mantra al cospetto della spianata di Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Perché ci vuole cuore per vedere l’invisibile, bisogna diffidare degli occhi, e soprattutto occorrono sacrifici e apprendimento continuo. Solo così, tra quelle pietre, potremo riconoscere la nostra anima messa a nudo. Senza restarne travolti. Senza rimpianti per essere venuti a cercarla così lontano.

 

 

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