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La Repubblica Rassegna Stampa
29.10.2018 'Finché morte non sopraggiunga', di Amos Oz
Recensione di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 29 ottobre 2018
Pagina: 25
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «Il giovane Oz era già un mago»
Riprendiamo da REPUBBLICA - ROBINSON del 28/10/2018, a pag.25, con il titolo "Il giovane Oz era già un mago", la recensione di Susanna Nirenstein a "Finché morte non sopraggiunga", di Amos Oz.

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Susanna Nirenstein

Amos Oz pubblicò i suoi primi racconti nel 1965, Terre dello sciacallo. Per quanto nel 1968 sia uscito, e con gran successo, il romanzo Michael mio, questa forma breve di narrativa continuava a corrispondergli: "avevo bisogno di soddisfarmi velocemente" spiegava in un'intervista alla Paris Review, "non avevo né la pazienza né la capacità di condurre giochi di lunga durata. Un racconto ti porta dove vuoi velocemente. Pensavo, mi sedevo, la scrivevo in un giorno. Ora anche quando torno a quel genere lo faccio in altro modo, non ho più il ritmo della sessualità giovanile, con quella sua spinta tremenda e quella sete di soddisfazione immediata". In effetti i due racconti, in parte surreali, ma non troppo, del 1970 e del 1971 che compongono il libro ora in uscita per Feltrinelli Finché morte non sopraggiunga, sono, per quanto molto diversi tra loro, come un urlo, un urlo cupo tenuto insieme da morte e paura, un urlo che cattura l'atmosfera di odio in cui gli ebrei hanno vissuto per millenni.

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La copertina (Feltrinelli ed.) e l'autore

Appena uscito dalla guerra dei Sei Giorni, dove Oz servì in un'unità di carristi nel Sinai, convinto fin dalla vittoria che bisognasse trovare una pace di compromesso, figlio di un padre, Yehuda Arieh Klausner, che nella prima metà degli anni Trenta era stato picchiato a sangue mentre studiava in Lituania, anche per Oz l'antisemitismo non era un sentito dire. Sapeva a quali incubi può portare la sensazione di essere annientato, e si era interrogato sugli spiriti funesti che portano alla caccia all'ebreo. Da un'ossessione (in parte giustificata del resto - eravamo nel 1970 e gli ebrei in Urss non vivevano certo in buona salute) è senz'altro preso Shraga Unger, il protagonista del primo racconto, Amore tardivo. Shraga è un 68enne, un ex comunista russo che ora lavora per l'unione dei kibbutz (fantastico come Oz ci sa sempre raccontare l'animo israeliano con tutti i suoi tic), tutto preso dall'ascolto frenetico dei continui notiziari alla radio, dalla lettura di infiniti quotidiani al giorno, dal molliccio caldo telavivino. Fa il conferenziere, ma negli ultimi anni è molto decaduto, è grasso, malato, mezzo pelato, i denti partiti, con una casa sommersa dalle carte, solo. Ma su una cosa è ferratissimo, ed è quella che va a raccontare tutte le volte alle conferenze nei kibbutz: l'ebraismo russo. Lui è convinto che i bolscevichi complottino di sterminare il popolo ebraico, prima dentro i suoi confini, poi dovunque, e vuole avvertire del pericolo. Peccato che i suoi acciacchi lo tirino continuamente giù dalle sue riflessioni: quel corpo, il fatto che nessuno lo tocchi più così come lui non tocca mai nessuno, lo perdono, anche se ogni tanto risale la china e arringa le sue piccole platee. Intanto sogna eserciti ebraici che marciano sull'Urss, la Polonia dei ghetti, la Russia. Ah, che soddisfazione. Come raggiungere Moshe Dayan e metterlo in guardia? Lui lo capirebbe. La fine non ve la diremo, ma capite come questo racconto sia un perfetto flash ossessivo e a modo suo realistico: un moto dello spirito israeliano catturato in poche pagine, perché è questo che Oz vuol fare quando racconta, disegnare un quadro, un animus. Odia essere interpretato in modo politico. Altra scena, altri anni. Siamo nel 1096. In Francia. Tempo di crociate, come quella, molto arrangiata ad Avignone dal Conte Guillaume de Touron, un uomo che vede intorno a sé mille cattivi presagi, la morte della sua seconda moglie, alcune rivolte, roghi di granai, stelle cadenti. Nei quartieri dei perfidi giudei aleggia una gioia sospetta. Accompagnato da uno strano stalliere, Claude Spallastorta, il Conte cerca la redenzione a Gerusalemme. Inizia subito a stemperare depressione e inquietudine bruciando un ebreo. Da quel momento l'idea che gli si conficca sempre più nella mente è che uno spirito maligno, un ebreo naturalmente, sia con loro dietro mentite spoglie. Non riesce a smascherarlo. Il lungo viaggio continua, tra una natura stantia e avara. Poche razzie, poche donne. Ma ancora convinti che luce, calore, sabbia, fuoco, vento daranno loro la pace. Trovano un ebreo: lo rapinano, lo torturano a morte, lo abbandonano rantolante. Ancora sospettano che ci sia un infiltrato tra loro, perché la cupezza stende il suo manto sul loro cammino. Avvicinandosi a Gerusalemme, gli ebrei aumentano, le carneficine dei giudei anche: "marciando i pochi soldati rimasti si spogliavano dei loro corpi, via via sempre più in purezza, verso il cuore delle melodie celesti, verso il canto degli angeli". Non c'è da commentare, il disegno di Oz è chiaro. Chi vuole capire quanto trauma c'è in Israele ora lo sa.

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