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La Stampa Rassegna Stampa
29.10.2018 Caso Khashoggi: la sfida tra Riad, Teheran e Ankara
Commento di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Stampa
Data: 29 ottobre 2018
Pagina: 11
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Khashoggi, attorno al brutale omicidio la sfida di potere fra Riad, Teheran e Ankara»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/10/2018, a pag.11 con il titolo "Khashoggi, attorno al brutale omicidio la sfida di potere fra Riad, Teheran e Ankara" il commento di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

La prima lezione dell’allucinante vicenda di Khashoggi, è che la realtà supera decisamente la fantasia. Quale John le Carré o Somerset Maugham, quale Gérard de Villiers, avrebbe mai potuto inventarsi uno scenario tanto atroce e improbabile? In quale storia di spionaggio si è mai visto il sovrano di un Paese con ambizioni internazionali, fare a pezzi, in uno dei suoi consolati, un oppositore scomodo? E che dire degli interrogativi che pone la vicenda, degni di figurare in un film dell’orrore: gli hanno tagliato le dita prima o dopo avergli tagliato la testa? Prima l’avevano strangolato? Ha urlato? E per quanto tempo? Erano in dodici, come si dice? O in quindici? Hanno registrato le sue disumane urla di dolore?

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Erdogan mette a tacere l'opposizione

Hanno variato i loro piaceri, come racconta Svetonio dei più crudeli dei dodici Cesari? L’hanno davvero fatto a pezzi o, come nella «morte dei mille tagli» che tanto affascinava Georges Bataille, a fettine? E questa storia delle ossa segate? Dei pozzi dell’ambasciata? Di un sosia che indossa i suoi vestiti? Che cos’è davvero questa messa in scena? Questa catena di gesti abietti e deplorevoli? Quale credito accordare a questa parodia dei più stupidi film di serie B? Benvenuti nel mondo reale. Questa è la nuova realtà contemporanea, sanguinante e palpitante, dell’ostentazione del potere. Questa realtà malata, drogata, cocainomane all’ultimo stadio, che sta diventando il più talentuoso dei nostri sceneggiatori. Tutto il mondo è un palcoscenico. Non sono più i romanzi a competere con il reale, ma i macellai di esseri umani che competono con i romanzi. Malaparte aveva ragione. Debord pure.
La seconda lezione è che la congrega multimediale mondiale, con il suo vortice di immagini, informazioni e contro-informazioni, ipotesi scarsamente verificate e rievocazioni minuziose e scabrose, ha dimenticato le emozioni. Ho letto praticamente quasi tutto ciò che è stato scritto su questo evento globalizzato. Ma non ho davvero trovato un articolo in cui si avverta il fremito della penna e, in primo luogo, dell’anima, all’idea di questa carne straziata, di questo corpo distrutto, della lama che taglia la pelle e rompe le ossa di un vivente. Non ho visto molte persone intorno a me, cercare d’immaginare, solo immaginare - perché tutto, in questa vicenda è principalmente questione di immaginazione - questo corpo che, appena un attimo prima, vibrava di aspettative e desideri, di un matrimonio da organizzare, di una nuova vita da costruire, di documenti da riempire, di formalità quotidiane e felici, noiose e piene di promesse, e che ora implorava di morire così che cessasse la sua sofferenza. Noi chattiamo. Commentiamo siamo pronti a dannarci per un nuovo dettaglio. Misuriamo, al millimetro, il calvario di questo strano personaggio, con la faccia da bambino circondata da un pizzetto ben curato, che era stato un Fratello Musulmano, forse vicino a Bin Laden, e di cui tutto a un tratto ci si domanda se fosse davvero innocente come si addice a una vittima. Noi tessiamo voli pindarici in una società dello spettacolo che non ha nemmeno più nulla da ridire sull’odio e dove il presidente della maggiore potenza mondiale al suo diabolico alleato non trova null’altro da rimproverare che aver fallito l’«operazione di occultamento». Ma,anche noi drogati, scioccati, siamo incapaci di provare compassione per questo nostro simile, questo fratello, le cui torture, dematerializzate, sono diventate astrazioni. Ebbrezza del commento. Cinismo. Indifferenza raggelante da bar del commercio globalizzato.

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Jamal Khashoggi

E poi la terza lezione - e questo è l’unico commento personale che mi permetterò - è che non aveva torto chi, negli ultimi anni, si è rifiutato di prendere per oro colato le buone intenzioni di MBS (Mohammed Bin Salman). Ricordo le domande dei giornalisti alla presentazione de «L’impero e i cinque re». Non è stato troppo severo, mi chiedevano? Non ha trascurato le riforme in atto? Possiamo mettere allo stesso livello degli ayatollah iraniani o del neo-sultano Erdogan, questo giovane principe modernista che apre cinematografi e concede la patente alle donne? La festa è finita. C’è la prova che non bastano operazioni di cosmesi o foto accattivanti per cancellare l’orrore delle esecuzioni senza fine, per mettere a tacere le grida dei torturati tra le Bentley e le piscine olimpioniche, per far uscire di galera gli spiriti liberi. La prova della barbarie immutabile e tenace, debole e oscurantista, tipica di una dinastia il cui progetto è, fin dall’inizio, quello di passare al resto del mondo questa malattia dell’Islam nota come wahabismo. Peggio: forse la nostra cecità ha contribuito al piano; forse questo crimine di Stato senza precedenti nei tempi moderni, è stato possibile solo perché il suo autore sapeva (o credeva...) che sarebbe stato sostenuto, a qualunque costo, da un Occidente pronto a chiudere entrambi gli occhi, a giocare tutti i giochi pur di continuare a fare affari con questo Paese mostruosamente strategico che è l’Arabia Saudita; forse, sì, questa incommensurabile violenza non sarebbe stata concepita se la rana gonfia di petrolio non si fosse saputa al sicuro sulla testa del bue americano e delle sue montagne di dollari. Tra gli eredi degli imperi persiano, ottomano e arabo, è in ballo la leadership politica e morale dell’Islam: non discredita, anzi, rende onore ai musulmani dire e ripetere che né Teheran, né Ankara o Riad, sono degne di questa missione - e che tra gli assassini dei curdi e quelli di Khashoggi oggi non c’è nulla da scegliere.
Traduzione di Carla Reschia

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