Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/10/2018, a pag.11, con il titolo "Vegani, immigrati, gay e ortodossi. Il voto controcorrente di Tel Aviv", il commento di Fabiana Magrì.
In attesa di una analoga analisi su Gerusalemme, complimenti a Fabiana Magrì per quella su Tel Aviv alla vigilia del voto amministrativo del 30 ottobre.
Ecco l'articolo:
Fabiana Magrì
Tel Aviv
Perfino la corsa per la poltrona da sindaco è occasione per stabilire primati e indicare tendenze nella città trend setter del Medio Oriente. Non poteva che nascere nella capitale morale dei vegani «Tel Aviv Tivonit», il primo partito vegano al mondo a candidarsi a elezioni municipali. Con un bacino di 50 mila sostenitori tra vegani, vegetariani e vegan-friendly - oltre il 10% dei 436 mila cittadini aventi diritto al voto su un totale di più di 530 mila abitanti di Tel Aviv - il partito co-fondato da un’italiana-israeliana punta ad almeno uno dei 31 seggi della giunta comunale, dopo il voto del prossimo 30 ottobre. «Il movimento vegano è partito dal basso ma ora vogliamo essere rappresentati ufficialmente - spiega Nadia Ellis, docente universitaria e cuoca -. Chiediamo l’introduzione di menù vegani in scuole e ospedali e più informazione sui vantaggi del veganesimo in termini di salute, ambiente e tutela degli animali. Come la comunità Lgbt, anche noi vogliamo far parte di campagne di marketing territoriale e proponiamo un Vegan Pride.» «Olim Beyachad» (in ebraico, immigrati insieme) è la lista che rappresenta chi, avendo discendenza ebraica, ha fatto «aliyah», cioè ha ottenuto la cittadinanza e vive in Israele in forza della legge del ritorno. «La nostra più grande sfida - ci tiene a sottolineare Vika Kanar, originaria degli Stati Uniti, terza candidata della lista in cui concorrono francesi, russi, americani ma nessun italiano - è spiegare agli immigrati come esprimere il proprio voto, affinché nessuno si senta escluso».
Pluralismo è una parola chiave in questa partecipata campagna elettorale tanto che nella città più laica di Israele si moltiplicano i partiti di matrice religiosa. Perfino «Shas», che rappresenta gli «haredim» (ebrei ortodossi) ha candidato Natan Elnatan perché ritiene che la città stia cambiando troppo rapidamente e che oggi sia difficile vivere da ebreo tradizionale a Tel Aviv. Anche l’italiano-israeliano Miky Steindler, al quinto posto nella lista «Maaminim» (credenti, in ebraico), sostiene che a Tel Aviv si dovrebbero conciliare meglio modernità e radici ebraiche. A mettere insieme tutte le istanze ci prova «Ichud Tlv» (Unità di Tel Aviv), partito che cerca di creare ponti tra immigrati e nativi israeliani, laici e religiosi. Alla sua guida Gaby Daniel, cresciuto in una famiglia «haredi» ma poi diventato laico, è espressione dell’ideologia sionista religiosa. «L’idea - ha dichiarato Daniel in un’intervista al “Jerusalem Post” - è portare i nuovi immigrati fuori dalla loro bolla e trasformarli in israeliani». L’unico candidato che minaccia seriamente il favorito Ron Huldai - l’attuale sindaco laburista che nelle precedenti elezioni raccolse il 53% dei voti – è il suo vice Asaf Zamir. Dopo dieci anni da numero due, Zamir ha abbandonato il suo mentore per correre contro di lui fondando «Rov Ha’Ir» (la maggioranza della città, in ebraico). «Il nostro obiettivo - si legge sul manifesto del partito - è affrontare quei problemi che giacciono sulla scrivania del sindaco da anni e portare l’amministrazione di Tel Aviv e la qualità della vita dei suoi residenti a un livello superiore.» Non appare turbato Huldai, forte di vent’anni di risultati che nessuno osa mettere in discussione. Il tallone d’Achille, semmai, sembra essere la lunga durata del suo incarico. Come si fa, dopo tanti anni, a capire ancora una città che cambia così in fretta? «Le caratteristiche principali di un buon sindaco - risponde Ron Levin, capo della campagna elettorale - sono esperienza e capacità di affrontare sfide e perfino minacce. Grazie al talento di un management capace, Tel Aviv si è ripresa dalla bancarotta in cui versava vent’anni fa quando il sindaco è stato eletto». Huldai, nato e cresciuto in un kibbutz, ha sempre puntato a ricrearne i valori in città, applicandone le tre regole d’oro in ogni quartiere: offrire i migliori servizi, al minor prezzo possibile (meglio se gratis) a distanze percorribili a piedi. «L’obiettivo principale in agenda - continua Levin - è incrementare la sharing economy per andare incontro ai bisogni di tutti, anche quando le risorse economiche scarseggiano».
Gli «italkim», la comunità italiana, un bacino elettorale di quasi 10 mila persone, ha incontrato di recente il sindaco. «Tel Aviv e Milano sono gemellate - ricorda il capo della campagna elettorale - e tra i sindaci c’è un rapporto di amicizia. Con gli italiani c’è sempre stata, e c’è tuttora, un’ottima relazione».
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