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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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La Repubblica Rassegna Stampa
25.10.2018 No all'incredibile paragone tra Jamal Khashoggi e Giacomo Matteotti
Lo fa invece Alexander Stille, di cui Repubblica sbaglia la bibliografia

Testata: La Repubblica
Data: 25 ottobre 2018
Pagina: 33
Autore: Alexander Stille
Titolo: «Un assassinio che ricorda Matteotti»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/10/2018, a pag.33, con il titolo "Un assassinio che ricorda Matteotti" il commento di Alexander Stille.

Non c'è alcuna somiglianza tra l'omicidio Matteotti e quello di Jamal Khashoggi. Il primo era uno dei più importanti leader antifascisti in Parlamento negli anni 1922-1924, il secondo un affiliato dell'organizzazione islamista della Fratellanza Musulmana.

Nella breve bibliografia che la redazione di Repubblica aggiunge al pezzo, inoltre, si segnala il volume "Uno su mille" uscito nel 2018 con Garzanti. Si tratta di un errore, perché il volume è del 2011.

Ecco l'articolo:

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Alexander Stille

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Giacomo Matteotti

L’interrogativo ricorrente nei giorni successivi all’omicidio di Jamal Khashoggi compiuto a Istanbul da agenti sauditi riguarda il principe Mohammed Bin Salman: con quale brutalità ha autorizzato un atto così orribile in maniera tanto rozza e spudorata? La risposta a mio avviso è che le dittature sono di per sé ottuse. I dittatori creano e abitano una bolla di adulazione e impunità che, se costretti ad agire al di fuori di essa, li conduce a enormi errori di valutazione. L’assassinio di Khashoggi presenta sorprendenti analogie con quello dell’esponente socialista Giacomo Matteotti per mano di squadristi fascisti agli ordini di Benito Mussolini. Nel pomeriggio del 10 giugno 1924, a Roma, Matteotti fu prelevato con la forza da un gruppo di fascisti e caricato su un’auto. Due mesi dopo, il suo cadavere in decomposizione fu rinvenuto a una ventina di chilometri di distanza. Poco prima di essere rapito, Matteotti aveva denunciato in un appassionato discorso i brogli e le violenze compiuti dai fascisti durante le elezioni parlamentari di due mesi prima. L’assassinio di un illustre oppositore del fascismo sconvolse l’Italia e il mondo intero. Prima della scomparsa e dell’omicidio di Matteotti gli alleati democratici dell’Italia erano stati disposti a credere che, nonostante l’ascesa violenta, Mussolini intendesse rispettare le regole della democrazia parlamentare. Ma una prima indagine relativamente indipendente collegò gli assassini all’ufficio di Mussolini. Cesare Rossi, uno dei suoi più stretti collaboratori, era a capo di ?eka Fascista, la polizia politica ispirata alla ?eka, equivalente bolscevico del Kgb. Matteotti fu ucciso prima di denunciare in Parlamento un episodio di corruzione legato alla concessione petrolifera assegnata dal governo alla società americana Sinclair Oil. Mussolini ottenne che l’indagine fosse trasferita a investigatori più collaborativi, i quali conclusero che si era trattato di omicidio preterintenzionale.

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Jamal Khashoggi

Col passare del tempo, complici l’esitazione della classe politica italiana, il tornaconto dei governi stranieri e la connivenza della stampa internazionale, Mussolini riuscì a sopravvivere. Rossi fuggì a Parigi e, per non diventare il capro espiatorio dell’omicidio Matteotti, offrì al New York Times documenti che provavano il coinvolgimento di Mussolini. Ma il giornale rifiutò l’offerta, sia perché Rossi chiedeva in cambio 15.000 dollari, sia perché i giornalisti erano restii ad accettare l’idea che Mussolini si fosse macchiato di un omicidio politico. Rossi raggiunse un accordo con il New York World, e il giornalista Arnaldo Cortesi, sostenitore del fascismo, scrisse per il New York Times un lungo articolo mirato a scagionare Mussolini e a screditare Rossi. Tutto questo può servire a spiegare il motivo per cui i sauditi hanno avuto la tracotanza di assassinare Khashoggi a Istanbul. Il Congresso americano e la stampa globale devono evitare di ripetere gli errori commessi ai tempi del caso Matteotti. Un giornalista di mezza età con la pancetta non si mette a fare a cazzotti con 15 agenti sauditi e all’interrogatorio di un dissidente politico non ci si portano dietro un anatomopatologo e una sega chirurgica. La tesi secondo cui Khashoggi è stato ucciso accidentalmente potrebbe essere confermata da un’autopsia. Il rifiuto dei sauditi di consegnarne il cadavere equivale all’ammissione di omicidio premeditato.

Alexander Stille è collaboratore di Repubblica dal 1997 e professore alla Columbia University di New York. Tra i suoi ultimi libri, "Uno su mille" (Garzanti 2018)

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