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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Lettera da Israele 3a parte - Libero 22-02-04
Mentre lo sceicco Hassan Nasrallah, capo del gruppo terrorista Hatzbollah in Libano, reclama il diritto di minare il confine nord di Israele, nei circoli diplomatici e politici a Gerusalemme si è sempre più convinti che in Europa non ci si sia ancora ben resi conto di cosa significhi la parola terrorismo, con le sue strettissime connessioni con il fondamentalismo islamico. Ci sono le immagini televisive, i titoli dei giornali, ma in fondo è qualcosa che avviene lontano da casa. Da noi si sale in autobus tranquilli, si va al ristorante senza dover passare un controllo minuzioso di borse e abiti, andiamo al cinema con la sola preoccupazione di quale film scegliere. Che la sala possa essere blindata come un bunker non ci viene nemmeno in mente. Eppure è questa la vita in Israele, e in maniera ossessiva da almeno tre anni. E ci si fa anche l'abitudine.

"Io non ho paura", mi racconta la mia amica Sara, che è andata in pensione tre anni fa e che farebbe la guida turistica se il turismo non fosse in crisi. "C'e' stato un attentato sotto la casa di mia sorella, sono arrivata lì un po' dopo e ho dato una mano a spazzar via i vetri del palazzo che erano crollati. Certo, quando viaggio in autobus, guardo chi sale, in genere giovani e anziani o nuovi immigrati che non hanno ancora i soldi per la macchina. Io la macchina ce l'ho, ma quando devo andare in centro non la uso per via dei parcheggi sempre pieni. Non ho paura, quando esco vado al cinema o a teatro, ma mi rendo conto che forse sto diventando indifferente. Il problema della sicurezza è così rilevante nella nostra vita quotidiana che persino sulle partecipazioni matrimoniali c'e' scritto che la cerimonia avverrà in luogo protetto da guardie armate".

Al timore degli attentati si aggiunge una profonda crisi economica che ha reso più debole lo shekel, la moneta israeliana. La povertà è divetata argomento di analisi quotidiane, al punto che giornali e Tv raccontano di quanto siano aumentate le mense pubbliche che servono pasti gratis. Sono nate organizzazioni caritatevoli di volontari che la sera raccolgono in vari ristoranti il cibo non consumato per ridistribuirlo nelle mense. Sono segnali di un disagio sociale che è anche politico, al quale l'amministrazione della capitale fa fronte come può. Spuntano iniziative che stimolano i cittadini a uscire di casa, a ritornare nel centro pedonale sempre al centro di sanguinari attentati, ma guai a lasciarlo decadere. Il sindaco ha decorato le pareti del municipio con un centinaio di disegni di bambini israeliani e arabi, un tentativo di dare la parola all'espressione artistica infantile in un momento in cui gli adulti sembrano privi di un linguaggio comune.

I giovani si sposano presto, sembrano ansiosi di mettere su famiglia, anche se non è più come anni fa quando il primo pensiero era l'acquisto della casa. Invece di comprarla con prestiti e ipoteche bancarie, con l'aiuto dello stato che ha sempre favorito la proprietà privata, adesso vanno in affitto, destinando i soldi risparmiati ad un tenore più alto di vita. Certo, anche un segnale che la filosofia del carpe diem ha insegnato che lo shekel vale sempre meno, quindi tanto vale spenderlo.

Cercando di dimenticare per un po' le brutte notizie che ogni giorno arrivano dal mondo arabo su questa piccola oasi di democrazia. Come quel serial dalla durata di quindici ore che la stazione satellitare araba Al Manar, molto seguita qui come in Europa (dove è diffusissima), ha mandato in onda pochi mesi fa. Intitolato "Diaspora", è una storia degli ebrei tutta inventata, degna dei Protocolli dei Savi di Sion. Tanto per valutarne il livello, in una scena c'e' un rabbino che uccide un bambino cristiano tagliandogli la gola con un coltello. Il suo sangue servirà per impastare le azzime del sabato! L'intento propagandistico sembra rivolto didatticamente anche alle comunità musulmane emigrate in Europa, tutte con la parabola sul balcone, per alimentare attraverso una totale ignoranza della storia, un odio antiebraico che non manca poi regolarmente di manifestarsi.

L'unico qui a non destare sorprese è Arik Sharon, al quale amici e nemici riconoscono di essere sì un falco, ma per motivi strategici e non ideologicici. Questa motivazione spiegherebbe perché lo Sharon di oggi non è più quello di ieri. Nessuna gabbana voltata, molto più semplicemente una presa d'atto realista, che ha spinto addirittura la sinistra ad accusarlo di essersi approppriato dei suoi progetti di pace.

Sarà che gli israeliani sono un popolo dalla dura cervice.

Quando verso la fine dell'800 arrivarono in terra d'Israele i primi ebrei in fuga dai pogrom europei, si accorsero che da duemila anni su questa terra non esisteva nemmeno più un vigneto. Ma la terra fu arata, i vigneti ripiantati e oggi Israele produce vini rinomati in tutto il mondo. L'e chaim, alla vita, si dice in ebraico quando si fa un brindisi. E mai come in questi giorni, nei quali ancora una volta Israele sembra dover lottare contro avversari che non nascondono la loro volontà di distruggere lo Stato ebraico anche attraverso al sua deligittimazione, è saggio e beneaugurante alzare un calice. Le'chaim, Israel !

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