Khashoggi aveva dichiarato: 'Il mondo arabo non conosce libertà'. Detto da un adepto della Fratellanza Musulmana, movimento terrorista, è il massimo di presa in giro dell'Occidente A suggerire la versione ufficiale sono Iran, Turchia e Qatar, che sostengono il terrorismo. Commenti di Giulio Meotti, Anna Lombardi
Testata:Il Foglio - La Repubblica Autore: Giulio Meotti - Anna Lombardi Titolo: «Non solo Khashoggi, il mondo arabo ha fatto a pezzi anche la libertà di parola - Il testamento di Khashoggi: 'Il mondo arabo non conosce libertà'»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/10/2018, a pag.2 con il titolo "Non solo Khashoggi, il mondo arabo ha fatto a pezzi anche la libertà di parola" il commento di Giulio Meotti; dalla REPUBBLICA, a pag. 13, con il titolo "Il testamento di Khashoggi: 'Il mondo arabo non conosce libertà' ", il commento di Anna Lombardi.
A destra: Jamal Khashoggi
Khashoggi aveva dichiarato: 'Il mondo arabo non conosce libertà'. Detto da un adepto della Fratellanza Musulmana, movimento terrorista, è il massimo di presa in giro dell'Occidente. La vulgata ripresa dai media è però quella propinata da regimi come Iran, Turchia e Qatar, che fanno della violazione sistematica dei diritti umani una regola.
Il titolo di REPUBBLICA è del tutto fuorviante, come l'articolo che segue: entrambi seguono la versione di Iran Qatar e Turchia. E' corretto invece estendere il discorso sulle libertà negate e calpestate a tutto il mondo arabo e islamico.
Se il principe ereditario Mohammed Bin Salman si fosse informato non solo sulle eliminazioni fisiche degli oppositori nel mondo arabo ma anche sulla tecnica usata in Occidente - particolarmente in Italia - e che non crea indignazione mondiale, avrebbe potuto ispirarsi al Vaticano e a un noto e arguto ex presidente del Consiglio: il Vaticano che ha simulato un suicidio sotto il ponte dei Frati neri di Londra di un personaggio che conosceva tutti i loschi affari delle banche vaticane; il secondo che consigliava il caffè per sollevare il morale ai condannati, soprattutto quelli che segreti da rivelare ne avevano molti.
Ecco gli articoli:
IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Non solo Khashoggi, il mondo arabo ha fatto a pezzi anche la libertà di parola"
Giulio Meotti
Erdogan e l'emiro del Qatar Al Thani: i due registi dell'intera storia?
Roma. “Quello di cui ha bisogno maggiormente il mondo arabo è la libertà di espressione”. E’ questo il titolo dell’ultimo articolo di Jamal Khashoggi pubblicato ieri dal Washington Post. “Il mondo arabo sta facendo i conti con una propria versione della cortina di ferro, imposta non da agenti esterni ma da forze interne in lotta per il potere”, ha lasciato scritto il giornalista saudita scomparso nel consolato saudita di Istanbul lo scorso 2 ottobre e che sarebbe stato ucciso fra atroci torture (taglio delle dita, smembramento del cadavere). Nell’articolo, Khashoggi ricorda che nel rapporto Freedom in the World 2018 solo un paese arabo, la Tunisia, è stato classificato come “libero” e che di conseguenza “gli arabi che vivono negli altri paesi o non sono informati o ricevono informazioni scorrette”, sottolineando come in paesi dove domina “la narrativa controllata dallo stato, la gran parte della popolazione cade vittima di una narrativa falsa”. Aveva ragione, Khashoggi. Ma i tanti Khashoggi che c’erano sono stati fatti a pezzi, spesso letteralmente, nel mondo arabo. Sulla sorte del giornalista saudita ora si indaga. Ma il caso della libertà di espressione è invece chiuso da un pezzo. Un altro saudita, il blogger liberal Raif Badawi, è stato condannato a dieci anni di prigione e a mille frustate, ma la sua vicenda è stata pressoché eclissata nell’opinione pubblica internazionale. I due maggiori scrittori algerini, Kamel Daoud e Boualem Sansal, sono due esuli in patria e quando hanno da dire qualcosa lo fanno in Francia. Rischiano di fare la fine di un grande scrittore algerino, Tahar Djaout, ucciso dagli islamisti di Algeri. L’intellettuale egiziano Farag Foda è finito proprio come Khashoggi, mentre l’Egitto oggi è caduto nella stagnazione intellettuale fra processi, censure e rinunce. In Sudan, Mahmud Muhammad Taha, l’unico intellettuale islamico anti fondamentalismo, è stato impiccato nella pubblica piazza per aver protestato contro la sharia. Solo per un pelo non ha fatto la fine di Khashoggi anche Naguib Mahfouz, il premio Nobel per la Letteratura troppo tollerante, troppo laico, troppo illuminista, da meritarsi le coltellate islamiste che lo hanno quasi ucciso. Ma non c’è soltanto il mondo arabo. In Iran è immenso l’elenco degli intellettuali assassinati, la Turchia è diventata una immensa prigione per giornalisti e scrittori, mentre in Bangladesh una serie di assassinii per strada di scrittori, blogger e giornalisti ha posto fine alla questione del free speech. Il giornalista e scrittore giordano Nahed Hattar è stato assassinato davanti al tribunale di Amman, reo di aver condiviso su Facebook una vignetta che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto mettere in ridicolo i jihadisti dell’Isis e la loro visione dell’islam. Hattar si è ritrovato a dover rispondere alle accuse di “oltraggio alla religione”. L’Europa stessa è oggi piena di scrittori e giornalisti arabi esuli, dal siriano Adonis in Francia all’egiziano Hamed Abdel-Samad in Germania, passando per Walid al Hussein, il giovane palestinese condannato per blasfemia sotto il regime “moderato” di Abu Mazen, e il turco Can Dündar. “L’eretico di Damasco”, Sadiq Jalal al Azm, fu colpito da una fatwa per la sua critica della religione e costretto a riparare in Germania. Un rapporto dell’Atlantic Council scritto da Hossam Abouzahr, il fondatore del Living Arabic Project, ha spiegato che il mondo arabo oggi pubblica lo stesso numero raggiunto da sola dalla casa editrice Penguin Random House. La Grecia traduce cinque volte il numero di libri di tutte le ventidue nazioni arabe messe insieme. Non ci sono garanzie che la curiosità, il pluralismo, la vivacità culturale e la libertà di parola possano creare una società arabo-islamica più liberale. Ma di sicuro non lo potranno fare la chiusura mentale e la censura, in medio oriente, in Europa e altrove. La morte splatter di Khashoggi, dopo aver consegnato quell’ultima fatale column sulla libertà di espressione, appare come l’epitaffio di quello che quattro anni fa in una intervista al giornale israeliano Haaretz disse l’algerino Sansal: “Il mondo arabo è morto”.
LA REPUBBLICA - Anna Lombardi: "Il testamento di Khashoggi: 'Il mondo arabo non conosce libertà' "
Anna Lombardi
Il mondo arabo è costretto in una cortina di ferro che non è stata eretta dall’esterno, ma da forze interne in gara per il potere". L’ultimo atto d’accusa del giornalista saudita Jamal Khashoggi arriva dalle pagine del Washington Post due settimane dopo la sua scomparsa, svanito a Istanbul, all’interno del consolato del suo paese, dov’era entrato per ritirare i documenti necessari a sposarsi. Karen Attiah, la curatrice delle pagine editoriali del giornale di Washington, spiega di avere aspettato a pubblicarlo nella speranza di parlare di nuovo con lui. Discutere gli ultimi dettagli di quell’articolo arrivato poco prima di quel 2 ottobre che l’ha inghiottito nel nulla. Ma di essersi infine decisa: «Quella speranza è svanita». Khashoggi non c’è più, secondo le autorità turche morto sette minuti dopo il suo ingresso nella sede diplomatica. E oggi le sue parole pesanti come pietre suonano più che mai come un tragico epitaffio. Tanto che a metà mattinata, poche ore dopo la pubblicazione, perfino il ministro del Tesoro americano Steven Mnuchin annuncia che non parteciperà alla "Davos del deserto", la conferenza Future Investment Initiative che si terrà a Riad dal 23 al 25 ottobre, organizzata dal fondo sovrano saudita Public Ivestement Fund. Ultima defezione eccellente dopo quella di numerosi leader della finanza, della politica e dei media americani e mondiali. Poco dopo anche Donald Trump ha detto di essersi convinto che Khashoggi è morto e, pur senza spingersi, almeno per ora, ad accusare esplicitamente il principe ereditario Mohammed bin Salman, ha riconosciuto come plausibile il contenuto del rapporto redatto dall’intelligence americana. Il presidente ha messo in dubbio per la prima volta la solidità dell’allenza con i sauditi, avvertendo che «potrebbero esserci gravi conseguenze». "Ho letto il report Freedom in the World del 2018. E sono arrivato alla grave conclusione che nel mondo arabo resti un unico Paese considerato ‘libero’: la Tunisia. Giordania, Marocco e Kuwait sono ‘parzialmente liberi’. Tutti gli altri sono ‘non liberi’ ". Inizia proprio così l’ultimo durissimo editoriale di Jamal Khashoggi: con un riferimento al report annuale di Freedom House che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese. "Il risultato è che gli arabi che vivono in questi paesi sono contemporaneamente poco e mal informati. Incapaci di discutere delle questioni che li riguardano, politiche e pratiche. La psiche pubblica è dominata dalla narrativa di stato. Una situazione, purtroppo, che non è destinata a cambiare". Le speranze della primavera araba sono state tradite: "Credevamo di emanciparci dall’egemonia, dai costanti interventi governativi, della censura dell’informazione. Siamo stati delusi: si è tornati allo status quo e la situazione è peggiore di prima". Per questo, fa una lunga lista di abusi perpetrati: "Un mio caro amico, il celebre scrittore saudita Saleh al-Shehi, scrisse uno degli editoriali più famosi mai pubblicati dalla stampa saudita. Oggi sconta un’ingiusta condanna a cinque anni. Il governo egiziano ha sequestrato l’intera tiratura del giornale Al-Masry al-Youm: ma tutto questo non suscita né rabbia né reazioni". Puntando con sicurezza il dito sul mondo occidentale: "Non c’è più alcun contraccolpo da parte della comunità internazionale. Che sempre più permette ai governi arabi di continuare a silenziare i media, bloccare internet, arrestare i reporter, fare pressioni sui pubblicitari". Ci sono delle oasi, naturalmente. "Qatar, Kuwait, Libano e appunto la Tunisia. Ma anche lì ci si concentra su questioni interne senza mai occuparsi del più ampio problema che riguarda l’intero mondo arabo". Come rompere quella cortina di ferro, dunque? Non resta che la libertà d’espressione. "Il mondo arabo ha bisogno di una versione moderna di vecchi media transnazionali. Come Radio Free Europe", sì, proprio la radio finanziata dagli Stati Uniti durante la guerra fredda per trasmettere notizie in Unione Sovietica. "Abbiamo bisogno di una piattaforma che ospiti le voci arabe e sempre più articoli tradotti. Solo la creazione di un forum internazionale indipendente, isolato dall’influenza di governi nazionalisti che spargono odio attraverso la propaganda, permetterà finalmente agli arabi di essere in grado di affrontare i problemi strutturali della loro società". Un sogno che al potere saudita, e a più di qualcuno al di qua e al di là dell’Atlantico, evidentemente fa paura.
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