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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Lettera da Israele 1a parte - Libero 17-02-04
Lasciare l'Italia per ritrovarsi in un paese mediorientale sommerso dalla neve non e' un'esperienza comune. Eppure Israele, fin dall'aeroporto di Tel Aviv, era dipinta di bianco, facendo dimenticare l'abituale folata di calore che avvolge inesorabilmente che scende dall'aereo. Arrivare a Gerusalemme in macchina sara' un problema. Nessuno viaggia con le catene perche' nevica raramente,e quando questo succede tutto si ferma. Le strade sono una colonna di auto tutte in fila a passo d'uomo, gli uffici si preparano a non riaprire il giorno dopo e cosi' faranno le scuole. Niente autobus per molte ore, una fermata che forse mandera' all'aria i progetti di qualche terrorista suicida palestinese. La vita si ferma a causa della neve in un paese dove nemmeno gli attentati e le stragi di civili riescono a rallentarne l'attivita' frenetica.

Se Hamas, gli Hetzbollah, assassini-suicidi vari con il loro sodale Arafat pensavano di minare alla base lo spirito che guida questo pase seminando, come stanno ancora facendo in questi giorni, terrore, paura, instabilita', hanno fatto male i loro conti. In tre anni di intifada, ma e' piu' giusto chiamarla guerra, hanno ucciso piu' di mille civili. Confrontando la popolazione, e' come se da noi il terrorismo avesse ucciso negli stessi tre anni diecimila italiani. In macchina, percorrendo la Tel Aviv-Gerusalemme, la radio ci dice come il paese sia ancora dentro ad una profonda crisi economica, in mezzo a continui scioperi che il sindacato usa come arma politica per diffondere malcontento nei confronti del governo e di Sharon in particolare. Sharon, il nemico di una sinistra che si vede scavalcata proprio nei suoi programmi di pace con i palestinesi da un premier che si sta rivelando molto piu' realista di quanto i suoi avversari abbiano mai nemmeno osato immaginare.E ci sono i coloni che manifestano ,anche se per motivi opposti, e che sotto la neve si dirigono verso Gerusalemme che urlare che gli insediamenti non si toccano.

Uno scenario che sembra non interessare all'Europa e al mondo, preoccupati unicamente se Israele ha oppure no il diritto di difendersi. Gli israeliani lo sanno, vedono l'enorme ingiustizia che viene applicata con puntualita' nei loro confronti, e si chiedono se non sia arrivato il momento per rimettere in discussione una parola che per lungo tempo avevano messo da parte, quasi che, non pronunciandola, se ne fossero potuti allontanare gli effetti. Se non e' antisemitismo la molla che fa scattare ancora una volta l'odio contro gli ebrei, come spiegare allora la forza che in una larga parte del mondo si e' ridestata per pregiudicare la stessa esistenza dello Stato degli ebrei ? Uno Stato rinato grazie ad una straordinaria forza di volonta', che si e' mantenuta intatta attraverso i millenni, una colpa questa che evidentemente agli ebrei non viene perdonata. Un popolo, una religione, che non sono mai stati portatori ne' di odio ne' di oppressione verso altri popoli e religioni, che non hanno mai preteso di essere in possesso di una verita' da imporre con la violenza a chicchesia. Che hanno vissuto duemila anni prima di ricostruire il loro Stato in paesi che li hanno segregati, espulsi, sterminati. Quel che si pretenderebbe oggi da loro, oggi che si chiamano israeliani, non e' molto diverso da qello che si e' preteso ieri. Ubbidienza, passivita', silenzio. Bene, tutto cio' non e' avvenuto, non sta avvenendo. E' questo il paese che osserveremo in questi giorni. Tra un processo alla Corte criminale dell'Aja che lo vuole imputato e degno di condanna per il solo fatto di avere costruito una barriera difensiva per proteggersi dagli attentati, con un governo che sta prendendo decisoni fondamentali che ne potranno preservare il futuro oppure comprometterlo, con una popolazione che esce di casa la mattina senza la certezza di potervi fare ritorno la sera. Racconteremo come vivono gli israeliani, in un paese dove la normalita' e' ancora un sogno da conquistare, ma che viene ugualmente vissuta come se fosse vera. E come la pensano e vivono i palestinesi, l'altra faccia della medaglia. Se Abu Ala ha veramente il potere di prendere decisioni oppure e'ancora Arafat, alleato del terroismo internazionale, a muovere le fila della politica palestinese.

Un paese lacerato dalla polemica politica, come avviene in tutte le democrazie occidentali, ma forte e unito nei momenti decisivi.

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