Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/10/2018, a pag.17, con il titolo "Riad ammette: Khashoggi ucciso in interrogatorio finito male", il commento di Giordano Stabile; da REPUBBLICA, a pag. 16-17, con il titolo "L’amico dei principi diventato una minaccia i tanti volti di Khashoggi", il commento di Ben Hubbard, David Kirkpatrik, preceduti dai nostri commenti.
Ecco gli articoli:
Jamal Khashoggi
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Riad ammette: Khashoggi ucciso in interrogatorio finito male"
Giordano Stabile
Fra i servizi sulla scomparsa di Khashoggi pubblicati oggi, quello di Stabile è senza dubbio il più equlibrato. Se non altro scrive che la verita su quanto è accaduto è lungi dall'essere rivelata. La storia dl collegamento telefonico è una invenzione, anche se non si si comprende perchè sia stata messa in piedi.
Il giornalista Jamal Khashoggi sarebbe morto in seguito a «un interrogatorio finito male». L’ammissione di Riad, contenuta in un rapporto, è stata anticipata ieri dalla Cnn. Alla fine l’Arabia Saudita ha deciso di collaborare alle indagini. Ieri, a due settimane dalla scomparsa del giornalista, gli investigatori turchi sono potuti alla fine entrare nel consolato saudita di Istanbul per una «ispezione». Una perquisizione anomala, con gli uomini della scientifica entrati senza indumenti protettivi e strumentazione, mentre sarebbe essenziale trovare tracce di Dna e altri eventuali elementi organici, come sangue, per ricostruire che cosa è accaduto in quel pomeriggio del 2 ottobre, quando il dissidente saudita è entrato nel compound per poi sparire nel nulla. I media turchi hanno sottolineato che il personale del consolato ha avuto tutto il tempo per nascondere le prove, mentre le tv mostravano addetti alle pulizie che entravano dal retro, forse per dare «un’ultima passata».
L’ispezione segna però anche una svolta politica. Re Salman ha ordinato una indagine parallela. In una telefonata con Trump ha detto di «non essere a conoscenza» di quello che era accaduto nel consolato e ha promesso la massima collaborazione. Trump aveva ipotizzato che l’omicidio potesse essere opera di «cani sciolti», cioè non legati al potere saudita, mentre a Riad è arrivato il segretario di Stato Mike Pompeo. Segnali che indicano la ricerca di una via di uscita in grado di salvare la faccia a Riad come ad Ankara, e di evitare ulteriori imbarazzi all’America. Anche perché l’impatto della vicenda è sempre più forte e la Future Investment Initiative Conference, che dovrebbe cominciare il 27 a Riad, è in bilico. Ieri due giganti americani, BlackRock, il più grande fondo di investimenti mondiale, e la banca JP Morgan, hanno dato forfait.
L’intervento di Re Salman punta a recuperare terreno con l’Occidente. Anche l’offensiva mediatica si è fatta più sofisticata. I media sauditi sono impegnati in operazioni di «debunking», spesso poco convincenti ma che hanno trovato un punto debole nel fatto che gran parte della ricostruzione degli investigatori turchi sarebbe basata sui dati raccolti dall’Apple Watch del giornalista, collegato all’iPhone lasciato alla fidanzata. Numerosi analisti puntualizzano però che l’Apple Watch può trasmettere dati a una distanza massima di 10-15 metri e quindi è impossibile che sia rimasto collegato. Può anche scaricare dati sull’iCloud, ma in questo caso doveva essere collegato a un wi-fi, altra cosa impossibile.
LA REPUBBLICA - Ben Hubbard, David Kirkpatrik: "L’amico dei principi diventato una minaccia i tanti volti di Khashoggi"
L'articolo di Ben Hubbard, David Kirkpatrik è un ritratto particolareggiato di Jamal Khashoggi, anche se ha toni assolutori nei suoi confronti. Khashoggi non poteva non sapere che attività come quelle da lui svolte, in un Paese senza democrazia - è il caso di tutti i Paesi islamici, anche se con differenze di grado - avrebbe portato alla sua fine. Nei Paesi islamici gli oppositori sono eliminati e di regola nessuno in Occidente se ne preoccupa, vedasi l'Iran, il paese con il numero più alto al mondo per le impiccagioni, eppure non suscita alcun interesse dei nostri media. Negli ultimi mesi, a molti interessa criticare l'Arabia Saudita - le accuse di essere il paese che attacca lo Yemen, quando l'Arabia Saudita non fa altro che reagire agli attacchi che subisce- per colpire, in modo indiretto ma chiaro, Donald Trump, con cui la monarchia più grande della penisola arabica ha stretto legami di alleanza in ottica anti-Iran.
Ecco il pezzo:
Ben Hubbard, David Kirkpatrik
Jamal Khashoggi atterrò a Washington lo scorso autunno, lasciandosi dietro una lunga lista di cattive notizie in patria. Dopo una brillante carriera come consigliere e portavoce ufficioso della famiglia reale saudita, in patria il nuovo principe ereditario gli aveva vietato di scrivere, perfino su Twitter. La sua rubrica su un quotidiano arabo era stata cancellata. Il suo matrimonio stava naufragando. Le autorità avevano proibito alla sua famiglia di uscire dal Paese, come mezzo di pressione per convincerlo a smetterla di criticare il potere. Poi, dopo l’arrivo negli Stati Uniti, un’ondata di arresti aveva fatto finire in prigione molti suoi amici e lui aveva preso la decisione di restare: tornare a casa era troppo pericoloso. Così, negli Stati Uniti, si reinventò scrivendo editoriali per il Washington Post, convinto di essere al sicuro. Khashoggi è stato visto l’ultima volta il 2 ottobre, mentre entrava nel consolato saudita di Istanbul, dove doveva prendere un documento per il suo matrimonio. Lì, secondo le autorità turche, una squadra di agenti sauditi lo ha ucciso e ha fatto a pezzi il cadavere. I sauditi sostengono di non aver torto un capello a Khashoggi, ma quasi due settimane dopo la sua scomparsa non sono ancora riusciti a produrre prove che abbia lasciato il consolato. La scomparsa ha creato una spaccatura tra Washington e l’Arabia Saudita, il principale alleato arabo dell’Amministrazione Trump. E ha pesantemente intaccato la reputazione di Mohammed bin Salman, Mbs, come viene chiamato in patria, il 33nne uomo forte del regime. La possibilità che il giovane principe abbia ordinato l’eliminazione di un dissidente crea seri problemi per il presidente Trump e potrebbe avvelenare relazioni fin qui molto solide. Potrebbe convincere quei governi e quelle aziende che avevano chiuso gli occhi sulla campagna militare del principe nello Yemen, sul sequestro del primo ministro libanese e sulle ondate di arresti ai danni di religiosi, uomini d’affari e membri della famiglia reale, che è un dittatore spietato che non si ferma davanti a nulla. La sparizione del giornalista ha anche attirato l’attenzione sugli intrecci che hanno caratterizzato tutta la carriera di Khashoggi, in equilibrio fra la propensione per la democrazia e l’islam politico e la storia personale al servizio della famiglia reale. Il suo interesse per l’islam politico ha contribuito a forgiare un legame personale con il presidente turco Recep Tayyip Erdodan, che ora pretende che l’Arabia Saudita fornisca spiegazioni su quello che è successo.
Giornalista di successo L’idea di autoesiliarsi in Occidente aveva rappresentato un duro colpo per il sessantenne Khashoggi, che aveva lavorato come giornalista, commentatore e direttore di giornale, diventando uno dei personaggi più conosciuti dell’Arabia Saudita: la sua notorietà a livello internazionale era cominciata con l’intervista a un giovane Osama bin Laden, prima di diventare famoso come confidente di re e principi. Poi la carriera gli aveva procurato una ricca dote di entrature: Khashoggi sembrava conoscere tutte le persone che avevano avuto a che fare in qualche modo con l’Arabia Saudita negli ultimi 30 anni. Sarebbero state proprio l’inclinazione a scrivere quello che pensava e le battaglie riformiste riforma a metterlo in rotta di collisione con Mbs, secondo gli amici. L’Arabia Saudita, tradizionalmente, è governata sulla base di un consenso fra i principi più importanti, ma Mohammed bin Salman ha smantellato il sistema, eliminando qualunque ostacolo al suo potere personale. Se davvero è stato deciso di mettere a tacere un uomo percepito come traditore, probabilmente quella decisione è stata presa da lui.
Le origini Il primo passaporto per la fama di Khashoggi fu la sua conoscenza di Osama bin Laden. Khashoggi aveva vissuto a Gedda, la città natale di bin Laden, e come bin Laden proveniva da una famiglia prestigiosa. Khashoggi aveva studiato negli Stati Uniti ed era tornato in Arabia Saudita per scrivere su un quotidiano in lingua inglese: gli amici dicono che era anche entrato nei Fratelli Musulmani. Anche se in seguito smise di frequentare le riunioni dell’organizzazione, conservò una certa dimestichezza con la loro retorica conservatrice, islamista e spesso anti-occidentale. I colleghi al giornale lo ricordano come una persona amichevole, riflessiva e devota. Come molti sauditi negli anni ‘80, Khashoggi appoggiava con entusiasmo la jihad contro i sovietici in Afghanistan, sostenuta dalla Cia e dall’Arabia Saudita. Così, quando ricevette un invito a vedere la guerra con i suoi occhi da un altro giovane saudita, bin Laden, non se lo fece ripetere due volte. In Afghanistan, Khashoggi si fece fotografare con un fucile d’assalto in mano, con grande imbarazzo dei suoi capi al giornale. Ma non sembra che abbia effettivamente combattuto. «Era lì innanzitutto come giornalista: certamente solidale con la jihad afgana, ma lo stesso si può dire per molti giornalisti arabi all’epoca», dice Thomas Hegghammer, un ricercatore norvegese che aveva intervistato Khashoggi. I viaggi di Khashoggi in Afghanistan e il suo rapporto con il principe Turki al-Faisal, che dirigeva i servizi segreti sauditi, fanno sospettare che facesse anche la spia per conto del governo. Anni dopo, quando un commando americano uccise bin Laden in Pakistan, nel 2011, Khashoggi espresse cordoglio per quello che era diventato il suo vecchio amico: «Eri bello e valoroso in quei bellissimi giorni in Afghanistan, prima che cedessi all’odio e alla passione», scrisse su Twitter.
Uomo di fiducia dei reali Con il tempo, Jamal Khashoggi ascese fino ai vertici del mondo dei media saudita, dove i giornali sono proprietà dei principi, i contenuti sono censurati e gli scandali che coinvolgono la famiglia reale passano sotto silenzio. Fu nominato direttore del quotidiano saudita al- Watan nel 2003, ma licenziato neanche due mesi dopo per un articolo che si scagliava contro uno stimato erudito islamico. Fu reinsediato nel 2007, e questa volta durò un po’ più a lungo. Viaggiava con re Abdullah e divenne intimo del principe al-Walid bin Talal, l’investitore miliardario che anni dopo sarebbe stato arrestato da Mbs. Il principe Turki, l’ex capo dei servizi segreti, assunse Khashoggi come consulente quando ricopriva l’incarico di ambasciatore in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
La Primavera araba e le riforme Molti degli amici di Khashoggi dicono che durante tutta la sua carriera al servizio della monarchia aveva sempre tenuto nascoste le sue inclinazioni personali per la democrazia elettorale e l’islam politico in stile Fratelli musulmani. Molti esponenti del movimento hanno dichiarato di aver sempre avuto la percezione che lui fosse dalla loro parte. I suoi amici laici non lo ritengono verosimile. Aveva sostenuto gli interventi militari per frenare, nella visione dei sauditi, l’espansione dell’influenza iraniana in Bahrein e nello Yemen. Ma era entusiasta delle rivolte scoppiate nel mondo arabo nel 2011: anche i movimenti della Primavera Araba lo delusero quando precipitarono nella violenza e l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti usarono la loro ricchezza per schiacciare l’opposizione e rafforzare i dittatori.
La crisi La tolleranza delle autorità saudite per le critiche è diminuita progressivamente dopo che re Salman è salito al trono, nel 2015, e ha concesso poteri smisurati a suo figlio Mohammed. Il giovane principe aveva annunciato un programma per diversificare l’economia e allentare le rigide norme sociali, con misure come la concessione alle donne del diritto di guidare. Khashoggi aveva applaudito queste decisioni, ma non sopportava il modo autoritario con cui il principe gestiva il potere. Quando Khashoggi aveva criticato Trump, le autorità saudite gli avevano proibito di parlare, temendo che potesse danneggiare i rapporti con la nuova amministrazione. Il principe Mohammed ha usato tutto il suo potere per perseguitare i detrattori. Khashoggi aveva lasciato il Paese l’anno scorso, prima che decine di suoi amici venissero arrestati e centinaia di personalità fossero rinchiuse nel Ritz-Carlton di Riad con accuse di corruzione. Aveva cominciato a scrivere editoriali sul Washington Post, paragonando Mbs al presidente russo Vladimir Putin. Gli amici ipotizzano che quegli articoli lo abbiano fatto finire sulla lista nera. Ma Khashoggi non si fermava. Ad aprile, aveva detto che la democrazia era sotto attacco in tutto il mondo arabo, da parte degli islamisti radicali, degli autocrati e delle classi dirigenti che temevano che la partecipazione popolare avrebbe portato il caos. Condividere il potere, diceva, era il solo modo per garantire governi migliori.
La fine Dopo il suo trasferimento a Washington, emissari di Mbs lo avevano contattato ripetutamente, chiedendogli di smussare le critiche e invitandolo a tornare a casa. Ma lui si stava costruendo una nuova vita. Aveva deciso di sposarsi con una ricercatrice turca, Hatice Cengiz, e di mettere su casa a Istanbul. Maggie Mitchell Salem, un’amica di vecchia data, era preoccupata per lui e gli chiedeva di mandargli un sms ogni volta che andava all’ambasciata saudita a Washington. «Rideva quando glielo dicevo: ‘Oh Maggie, sei ridicola’», rispondeva.
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