IC7 - Il commento di Davide Romano
Dal 7 al 13 ottobre 2018
Antisemitismo islamico
Questa settimana si è celebrato il 36esimo anniversario dell’attentato alla sinagoga di Roma, che causò 37 feriti e un morto, Stefano Gay Taché: un bimbo di 2 anni che fu colpito a morte dalla scheggia di una bomba a mano. Troppo spesso dimentichiamo chi è stato a realizzare questo delitto, che per pura casualità non divenne un vero e proprio massacro: furono cinque palestinesi del “Consiglio rivoluzionario di al-Fatah” di Abu Nidal. E su questi autori del delitto è doverosa una riflessione, tanto più in un periodo come questo, dove non c’è più memoria. Iniziamo col dire che se avessimo un minimo di ricordo di quanto successo non dovrebbero avere diritto di cittadinanza frasi insensate – che pure imperano ancora in diversi dibattiti - come "gli arabi sono semiti quindi non possono essere antisemiti". Solo chi ignora la storia degli ultimi 14 secoli di convivenza (meglio definirla coesistenza) degli ebrei nelle terre islamiche può ancora imbarcarsi in suddette scempiaggini. Bisogna anche ammettere che non è facile conoscere questa storia, vista l’imperante ideologia che narra di una Spagna sotto il dominio islamico come un esempio di felice convivenza tra le religioni.
Guerini e Associati ed.
Per fortuna dopo secoli di sostanziale assenza di documentazione in italiano sul tema, è finalmente arrivato l’ottimo libro di Vittorio Robiati Bendaud “La Stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell’Islam”. Appena uscito grazie all’editore Guerini e Associati, è un libro che fa finalmente giustizia di una storia assai poco conosciuta al pubblico italiano, e per questo spesso manipolata. Ma c’è un’altra frase che spesso viene propinata agli esponenti dell’ebraismo da parte di certe sinistre o di tanti esponenti dell’islam politico: "l'antisionismo non c'entra nulla con l'antisemitismo". Tale frase dovrebbe essere impronunciabile nel nostro Paese dal giorno dell’attentato alla sinagoga. Il piccolo Stefano era infatti un ebreo italiano, e nulla aveva a che fare con il conflitto arabo-israeliano, così come gli altri 37 feriti. Eppure ancora oggi c’è chi propala queste fandonie. Non capiscono che quella frase non andrebbe rivolta agli ebrei, ma agli esponenti del radicalismo islamico. Sono questi ultimi a dovere essere convinti che l’antisionismo non dovrebbe essere antisemitismo. Costoro infatti usano il termine “sionista” come parola per definire non un essere umano ma un mostro, qualcosa che non deve esistere e che per questo va eliminato: dall’Iran a Gaza, dall’Indonesia al Pakistan.
Ma l’odio per i sionisti (già di per sé grave, come tutti gli odi per un intero popolo) finisce inevitabilmente per colpire anche tutti gli ebrei. Lo vediamo ogni volta che c’è tensione tra Israele e palestinesi, le minacce, le urla e le violenze qui in Europa colpiscono sempre le sinagoghe o gli enti ebraici. Come il 9 dicembre dell’anno scorso a Milano, quando in una manifestazione contro la decisione statunitense si spostare l’ambasciata a Gerusalemme si udirono forti e chiare le urla in arabo contro gli ebrei. I fatti della storia insomma, parlano chiaro. Sono le ideologie a non volere sentire.
Davide Romano
Conduttore televisivo, scrittore, collabora con La Repubblica - Milano