martedi` 03 dicembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






 
Giorgia Greco
Libri & Recensioni
<< torna all'indice della rubrica
'Il pane del ritorno', di Franca Cancogni 09/10/2018

Il pane del ritorno
Franca Cancogni
Bompiani euro 19,00

Immagine correlata

Alcuni autori hanno la rara capacità di trasformarsi nel fluire della narrazione in compagni del lettore condividendo con lui, attraverso i protagonisti del loro romanzo, gli stati d’animo più reconditi e le emozioni più intense. Franca Cancogni appartiene a questo gruppo di scrittori e con il suo primo romanzo “Il pane del ritorno”, scritto alla veneranda età di 98 anni, ci regala l’esperienza di una lettura appassionante. Perché l’autrice, in punta di piedi, ci fa entrare in un magico fiume fatto di racconti variopinti, di orizzonti sconfinati, cui pagina dopo pagina si aggiungono rivoli che arricchiscono una narrazione coinvolgente che abbraccia storie e destini diversi. Franca Cancogni non è però estranea alla scrittura.

Nata a Roma nel 1920, ha lavorato come sceneggiatrice e traduttrice dall’inglese per la RAI, per la casa editrice Einaudi (traducendo Gente di Dublino di James Joyce, La freccia d’oro di Joseph Conrad e molti altri) e ha affiancato nel 1978 il fratello Manlio, poeta, nella stesura del romanzo storico “Adua” entrato nella cinquina del Campiello quello stesso anno. Da allora ha sempre continuato a scrivere in collaborazione col fratello lavorando a “La gioventù” e a “Al sole di settembre” sebbene quei libri pubblicati da Rizzoli fossero firmati solo da Manlio Cancogni. Per questo “Il pane del ritorno” è in un certo senso il suo esordio narrativo.

Traendo ispirazione da un racconto della nuora, ebrea, che narrandole la storia della sua famiglia le ha chiesto di scriverla, Cancogni attinge alla sua inesauribile creatività per affrontare in questo romanzo - attraverso la figura di Frida una bambina adottata con la sorella Abigail da un ricco mercante ebreo in Uzbekistan - la diaspora di una famiglia ebraica che dall’Unione Sovietica passando per l’Iran, l’India, l’Italia arriva in Palestina. Al centro del romanzo c’è Frida, voce narrante, un’ anziana ospite della casa di riposo Ben Gurion di Tel Aviv, una donna curiosa, dal carattere un po’ spigoloso, che ama raccontare gli avvenimenti di una vita avventurosa che l’hanno condotta, fra mille peripezie, all’ospizio di Tel Aviv. Attorno a Frida si muovono gli altri ospiti della casa di riposo che però hanno storie diverse, molti infatti sono giunti in Israele dopo la Shoah. Frida invece viene dall’Uzbekistan e le sue esperienze sono sì diverse ma non per questo meno dolorose e coinvolgenti. In un continuo dialogo aperto col lettore, l’autrice, con la voce di Frida, narra dell’arrivo della piccola trovatella insieme alla sorella Abbie a Bukhara in Uzbekistan, nella casa del benefattore Efraim David Asherov, un ricco mercante che accoglie le bambine nella sua famiglia composta già da molti figli. Del periodo trascorso nella casa degli Asherov, grazie all’affetto che le dimostra il capo famiglia e la buona e operosa Safila (una mussulmana a servizio da lungo tempo), Frida, pur non sentendosi completamente parte del clan, conserverà negli anni dolci ricordi, venati da struggente nostalgia. Il benessere economico, fatto di lezioni con istitutrici, di pranzi sontuosi e lunghi soggiorni nella casa di vacanza a Shakhrisabz, è messo a dura prova dalla recrudescenza dell’antisemitismo che induce la famiglia a iniziare una lunga fuga che dall’Iran la porterà in Afganistan, India, Italia per approdare in Palestina, prima in un luogo non molto lontano dal mare, “un posto che oggi mi sembra si chiami Qatif”, dove incontrerà ebrei appartenenti a differenti comunità e anche sopravvissuti ai campi di sterminio e infine a Gerusalemme e Tel Aviv. Mashhad, Teheran, Bombay, Kabul sono solo alcuni dei luoghi che Frida attraversa nel suo lungo peregrinare nel corso del quale si è sposata, è diventata madre ma ha anche perso molti affetti, travolti dalla durezza della vita nella diaspora. Volti e città dai colori luminosi si susseguono in un racconto fluviale in cui l’autrice dà voce anche alla folla di parenti e amici che gravitano attorno alla protagonista, costruendo un magnifico affresco di popoli diversi. Pagine indimenticabili sono quelle che raccontano della Gerusalemme negli anni del mandato britannico, dell’assedio della città da parte della Legione Transgiordana che la giovane Frida con i figli e il marito Daniel trascorre in uno scantinato “in pratica dalla fine dicembre del ’47 a buona parte del ’48, con qualche raro intervallo di tregua armata”, dei continui traslochi da un alloggio all’altro sopportati con rassegnazione e un pizzico di ironia e dell’amicizia affettuosa con alcune donne arabe che l’hanno accolta, prima con circospezione poi con simpatia, nel loro villaggio di poche case sparpagliate lungo il crinale della collina (“i tetti a terrazza, le porticine ad arco e le inferriate alle finestre mi ricordavano quelle di Bukhara, la mia patria perduta”).

Dopo alcuni anni trascorsi a Milano per seguire il marito Daniel in cui si troverà a combattere una terribile depressione, Frida ritorna per vivere l’ultimo scorcio della sua vita nella Terra Promessa, ospite della confortevole casa di riposo di Tel Aviv. Qui - sfruttando gli insegnamenti culinari della buona Safila che le ha lasciato un libretto di ricette - terrà un corso di cucina per le ospiti regalando al lettore nelle ultime pagine del romanzo una preziosa appendice di gustose ricette, dagli antipasti alle verdure, dai secondi ai dolci della gastronomia uzbeka “in salsa più o meno ebraica”.

Con la cadenza narrativa delle fiabe di una volta Cancogni attinge alla sua fantasia per raccontarci il mondo poco conosciuto delle comunità ebraiche dell’Asia e ci restituisce un quadro dai colori forti e dai sapori intensi dove il rispetto delle tradizioni ebraiche è il filo che tiene unite le famiglie anche nelle traversie della Diaspora. Si esce da questo romanzo arricchiti nello spirito con la consapevolezza che “Calarsi nella memoria del passato è un’esperienza difficile, spesso dolorosa e, comunque, sempre malinconica….” “Ora, dopo questo primo confronto con la notorietà, sto iniziando a tirare fuori storie che ho custodito negli anni. E a scriverne altre” – scrive Franca Cancogni in un’intervista. A noi lettori non rimane che attendere…

Immagine correlata
Giorgia Greco


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT