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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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Eliminazione- Il foglio 17-9-2003
Non è vero che la storia non si ripete. Si ripete eccome. Mentre 6 milioni di ebrei 60 anni fa venivano sterminati dai nazisti nel silenzio e nell’indifferenza di chi sapeva e doveva intervenire, ma non lo fece, fatte le debite differenze ecco di nuovo 6 milioni di ebrei in pericolo, solo che questa volta si chiamano oltre che ebrei anche israeliani, cittadini di uno Stato che 60 anni fa non c’era ancora per la volontà criminale di un’Europa che non lo permetteva, che, allora come oggi, faceva i suoi meschini calcoli numerici e petroliferi blandendo e sottomettendosi al volere degli Stati arabi. Che allora erano con Hitler. Soli allora, di fronte alle dittature e alle democrazie, di nuovo contro il mondo oggi quando, per difendere la sua sopravvivenza, Israele è obbligata a ricorrere alle armi. Mai nessun capo di Stato ha ritenuto suo compito rivolgere moniti o consigli a capi di governo stranieri, nemmeno quando in questione potevano esserci crudeli dittatori. Con Israele è diverso. E’ l’unico Stato al mondo che deve sentirsi dire come deve e come non deve comportarsi. E’ contro Israele che l’indecente dito viene puntato. Lo sceicco Yassin, che predica “l’uccisione degli ebrei ovunque essi siano” è “una guida spirituale”. Non mi risulta che il presidente Ciampi gli abbia mai rivolto rimproveri. Quando si tratta di Israele la stessa nozione di terrorismo si avvolge in fitte nebbie, non si capisce più chi sia il carnefice

o la vittima. Sommo fra i criminali, il più abile a manipolare informazione

e politica è Arafat. Che dietro a metà delle stragi che da 40 anni insanguinano

Israele ci sia lui, non ha impedito che venisse ricevuto in tutto il mondo con accoglienza calorosa, dal Papa ai capi di Stato. Israele no. Quel dito indecente continua la sua azione di condanna. Quando dimostra coi fatti (Egitto, Giordania) di essere pronta alla pace, non importa. Quando è pronta a concedere ad Arafat (Camp David) praticamente quanto chiede, non importa, Arafat rifiuta ma la colpa è di Israele. E’ lecito dire che un governo ha non solo il diritto ma il dovere di colpire i mandanti, non solo gli esecutori, di quel terrorismo che ha come fine ultimo la distruzione dello Stato stesso?

E cosa vuol dire tutto ciò se non uccidere per impedire di venire uccisi? L’opzione estrema comporterebbe che: 1) il formarsi di una dirigenza palestinese pragmatica, che c’è, ma non può mostrarsi pena la sua decapitazione da parte del rais. Abu Mazen insegna; 2) conosciamo la mentalità araba e anche cosa significhi vivere sotto un dittatore, come gli iracheni “votavano” per Saddam al 99 per cento, per poi festeggiarne la caduta, così i palestinesi, liberati da Arafat, comincerebbero a esprimersi liberamente. E come hanno fatto recentemente (inchiesta di un istituto di ricerche svizzero) confermerebbero che la loro fiducia in Arafat coinvolge solo il 22 per cento di loro; 3) l’Europa, vile e cinica com’è ne prenderebbe atto; 4) scomparso l’ombrello Arafat, che garantiva finanze e presentabilità, anche i professionisti stabili delle stragi (Hamas&Co.) verrebbero a miti consigli.



Le regole della lotta sono uguali per tutti

Analisi radicale? Forse. Previsioni troppo ottimiste? Forse. Ma Israele, oltre

a star lì ad ascoltare consigli, cosa deve fare dopo averle tentate tutte? Se la lotta al terrorismo ha le sue regole, eliminare i terroristi prima che loro eliminino noi perché questo non deve valere per Arafat? Certo la scelta che Israele ha di fronte fa tremare. Ma la saggezza democratica di un paese che ha retto malgrado le prove terribili alle quali è stato sottoposto fin da quando è nato ci fa sperare bene. Finché vedremo il pacifista israeliano Uri Avneri abbracciato ad Arafat alla finestra della Mouqata mentre dichiara che sarà il suo scudo umano, ebbene, quel paese ci fa capire di essere terribilmente forte. Sul piano morale, civile, democratico. Dopo aver abbracciato l’assassino di tanti suoi concittadini, Uri Avneri è rientrato tranquillo a casa sua. Nessuno è andato a bussare alla sua porta. Un paese che garantisce in questo modo la sua opposizione non sara mai sconfitto da nessun terrorismo. Deve avere però la convinzione di essere nel giusto quando ci sono da prendere decisioni gravi. Quando in gioco è la sua stessa esitenza. L’ostacolo oggi ha un nome: Arafat. Assolutamente da rimuovere.










































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